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Apr 14, 2023

II Domenica di Pasqua - Anno A - 16 aprile 2023

La prima domenica dopo Pasqua, prima di chiamarsi della Divina Misericordia, era chiamata "domenica in albis". Questo nome era dovuto perchè ai primi tempi della Chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis"). Questa domenica dal 2000 è stata proclamata Festa della Divina Misericordia per volontà del Papa Giovanni Paolo II, come testimonia la sua seconda Enciclica “Dives in Misericordia”, scritta nel 1980.
La liturgia pasquale si distende per l’arco intero di sette settimane con altrettante domeniche pasquali che sono prevalentemente costruite su alcuni ritratti della Chiesa del Cristo Risorto, con le sue gioie, le sue attese, la sua fede, ma anche con le sue prime ansie.
Nella liturgia di oggi, nella prima lettura tratta dal Libro degli Apostoli, Luca ci presenta la planimetria della Gerusalemme cristiana, la Chiesa-madre che nel cenacolo ha la sua prima cattedrale che si erge su quattro pilastri: l’insegnamento degli apostoli; la frazione del pane, cioè l’ eucaristia; le preghiere; e la koimonia, cioè l’amore fraterno .
Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Pietro, troviamo un antico inno battesimale in cui si benedice Dio per l’opera di salvezza operata tramite il Cristo, la quale è per il credente rigenerazione e apertura nella speranza, verso una salvezza totale.
Il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con gli apostoli e il suo saluto: Pace a Voi ! L’episodio di Tommaso, con i suoi umanissimi dubbi, è particolarmente utile per tutti coloro che procedono a tentoni in una valle oscura alla ricerca di Dio. Tommaso alla fine è stato in grado di proclamare la sua fede con una purezza straordinaria, forse la più alta del quarto Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”

Dagli Atti degli Apostoli
Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno.
Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo.
Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
At 2,42-47


L’evangelista Luca nell’intento di riportare nel libro degli Atti degli Apostoli la diffusione e la crescita della Chiesa, mette in questo primo sommario, una descrizione della comunità primitiva che trova il suo modello e la sua ispirazione nella più piccola comunità cristiana che sia mai esistita.
Ci appare subito come una comunità idealizzata e questo può accadere in ogni comunità quando il dono di Dio è pienamente accolto.
Nei versetti precedenti Luca aveva riportato un evento straordinario: era appena disceso lo Spirito nel giorno di Pentecoste e Pietro aveva rivolto, con parole audaci, un accorato appello alla conversione al popolo che si era ritrovato attorno a lui.
La vita della prima comunità cristiana testimonia che la Pentecoste diventa realtà: la forza dello Spirito genera una vita nuova che, pur vissuta sulla terra, non può che essere frutto dell’opera di Dio. Lo Spirito Santo, infatti, ancor prima di ammaestrare i credenti ad evangelizzare tutto il mondo, rafforza sempre più la comunità al suo interno.
Luca, in questo brano, riporta: “Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti all’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”.
Ciò che qualifica la comunità è il fatto che tutti i suoi membri sono “perseveranti”, cioè animati da una dedizione personale, che si manifesta nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nell’unione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere.
Dopo aver presentato in sintesi la vita della comunità, Luca fa un accenno a quelle che erano le reazioni da parte degli estranei . “Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli”. Questi perciò avevano nei confronti dei membri della comunità un senso di “timore” determinato dai “prodigi e segni” compiuti dagli apostoli.
Luca ritorna poi al tema della vita interna della comunità: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”.
Queste due espressioni riflettono, come le altre usate da Luca in questo contesto, il tema dell’amicizia, ma usando il termine “credenti” fa rilevare che il vincolo che unisce i discepoli di Gesù non è un’amicizia umana, ma la fede nel comune Maestro. Essa parte dal cuore e si esprime nella messa in comune di affetti, esperienze, aspirazioni, in altre parole, di quello che rappresenta il senso della propria vita, così come ciascuno lo ha scoperto alla luce della fede comune.
L’unità tra i credenti arriva fino al punto che quanti possiedono dei beni li vendono e ne mettono il ricavato a disposizione degli altri, in proporzione del loro bisogno. Questa scelta di vita sarà ulteriormente sottolineata in seguito (4,32.34-35), subito dopo verrà presentato l’esempio positivo di Barnaba, che vende il suo campo e depone il ricavato ai piedi degli apostoli (4,36-37), e quello negativo di Anania e Saffira, i quali sono condannati non perché hanno consegnato solo parte del ricavato dalla vendita di una loro proprietà, ma perché hanno mentito agli apostoli (5,1-11). Proprio questi due esempi, nella loro diversità, mostrano che la scelta di vendere i propri beni e di metterne in comune il ricavato era lasciata alla discrezione di ognuno.
Ritornando al tema della preghiera, Luca sottolinea che “Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”.
Nell’ambiente giudaico questa espressione indica il gesto rituale con cui si apriva il pasto in comune: il padre di famiglia o il capogruppo prendeva tra le mani il pane, rendeva grazie a Dio e lo spezzava distribuendola poi ai commensali. Qui l’espressione indica il pasto fraterno con cui i cristiani ricordavano l’ultima cena di Gesù, in cui Egli aveva interpretato profeticamente la Sua morte e aveva annunciato la speranza della piena comunione con loro nel regno di Dio. Il pasto comune dei cristiani dunque avveniva in un clima di letizia e di semplicità di cuore.
Il termine “letizia” è caro a Luca e indica la gioia festosa che accompagna l’esperienza o la speranza della salvezza messianica (Lc 1,14.44). Anche la “semplicità di cuore” è anch’essa un’espressione religiosa per definire la dedizione sincera e integra a Dio senza secondi fini.
Il comportamento dei primi discepoli era caratterizzato da una intensa lode a Dio e dal favore di tutto il popolo. Certamente una comunità unita, solidale, pronta a condividere anche i beni materiali, non può non suscitare attenzione e simpatia da parte di coloro che vengono a contatto con essa.
Luca conclude questo primo sommario con una espressione che userà più volte “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”.
Da questo versetto risulta che di per sé Luca non concepisce la comunità come uno strumento di salvezza, ma come la raccolta di coloro che sono salvati mediante un intervento diretto del Signore: ciò implica che la salvezza è opera esclusiva del Signore e ha un raggio d’azione che va ben oltre la comunità dei presenti.

Salmo 117- Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Rendete grazie al Signore
perché è buono:il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

Il salmo è stato composto per essere recitato con cori alterni e da un solista. Esso celebra una vittoria contro nemici numerosi.
Probabilmente è stato scritto al tempo di Giuda Maccabeo dopo la vittoria su Nicanore e la purificazione del tempio di Gerusalemme (1Mac7,33; 2Mac 10,1s) (165 a.C). Si è condotti a questa collocazione storica, a preferenza di quella del tempo della ricostruzione delle mura di Gerusalemme con Neemia (445 a.C), dal fatto che si parla di “grida di giubilo e di vittoria”, che sono proprie di una vittoria militare. Inoltre le “tende dei giusti” non possono essere né le case, né le capanne di frasche per la festa delle Capanne, ma le tende di un accampamento militare.
Il salmo inizia con l'invito a celebrare l'eterna misericordia di Dio. A questo viene invitato tutto il popolo: “Dica Israele il suo amore è per sempre"; i leviti e i sacerdoti: “Dica la casa di Aronne”; i “timorati di Dio”: “Dicano quelli che temono il Signore” (Cf. Ps 113 B).
Il solista - storicamente Giuda Maccabeo – presenta come Dio lo ha aiutato dandogli la forza, nella confidenza in lui, di sfidare i suoi nemici.
Egli non ha confidato, né intende confidare, in alleanze con potenti della terra, che lo avrebbero trascinato agli idoli, ma ha confidato nel Signore. Era circondato dal fronte compatto delle genti vicine asservite al dominio dei Seleucidi, ma “Nel nome del Signore le ho distrutte". L'urto contro di lui era stato forte, ma aveva vinto nel nome del Signore: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto”. “Cadere” significa cedere all'idolatria.
Egli sa che deve continuare la lotta, ma è fiducioso nel Signore: “Non morirò, ma resterò in vita e annuncerò le opere del Signore”. “Le opere del Signore” sono la liberazione dall'Egitto, l'alleanza del Sinai e la conquista della Terra Promessa.
Il solista, che è alla testa di un corteo chiede che gli vengano aperte le porte del tempio purificato dopo le profanazioni di Nicanore per “ringraziare il Signore”: “Apritemi le porte della giustizia...”.
“La pietra scartata dai costruttori”, è Giuda Maccabeo e i suoi, scartati da tanti di Israele che si erano fatti conquistare dai costumi ellenistici (1Mac 1,11s). Tale pietra per la forza di Dio era diventata “pietra d'angolo”, per Israele.
“Questo è il giorno che fatto il Signore”; il giorno della vittoria, del ripristino del culto nel tempio, è dovuto al Signore. Per noi cristiani quel giorno è il giorno della risurrezione; della vittoria di Cristo contro il male.
Il corteo viene invitato a disporsi con ordine fino all'altare: “Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare”.
Il salmo si conclude ripetendo l'invito a celebrare la misericordia del Signore.
Il salmo è messianico nel senso che esso profeticamente riguarda il Cristo: (Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17; At 4,11; Rm 9,23; 1Pt 2,7).
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.
1Pt 1,3-9

La Prima lettera di Pietro è uno scritto cristiano della fine del I secolo che si presenta come opera del grande apostolo di cui porta il nome, ma che secondo gli esperti è una raccolta di tradizioni che al massimo potrebbero risalire a Pietro o al suo ambiente. Non è una lettera vera e propria, ma un’omelia a sfondo battesimale, che si apre con l’indirizzo e una benedizione iniziale (1,1-5) a cui fa seguito il corpo della lettera che si divide in tre parti: 1) Identità e responsabilità dei rigenerati (1,6 - 2,10); 2) I cristiani nella società civile (2,11 - 4,11); 3) Presente e futuro della Chiesa (4,12 - 5,11).
Il brano inizia con una benedizione: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”.
La benedizione è una preghiera diretta a Dio per lodarlo e ringraziarlo di tutti i benefici che ha elargito a Israele, ma viene anche designato come “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. È infatti nel suo rapporto con Gesù che Dio ha manifestato la Sua volontà salvifica in favore dell’umanità, rigenerandola. È la fedeltà di Dio verso il Suo popolo che sta all’origine della Sua decisione di dare ai credenti in Cristo una vita nuova e questa si attua come effetto della resurrezione di Cristo. La sicurezza di ottenere l’eredità oggetto della speranza, si basa sul fatto che essa è conservata nei cieli, cioè è affidata a Dio stesso, e quindi non può essere rubata da nessuno. Non solo, ma i cristiani stessi sono preservati nella loro condizione di eredi dalla potenza di Dio che li assiste sempre, richiedendo come unica condizione la fede in Lui.
Anche la situazione presente dei cristiani è dunque, non meno dell’eredità futura, un dono di Dio, per cui l’apostolo esorta ad essere: “ricolmi di gioia, anche se …, per un po’ di tempo, si può essere afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, …, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui”.
La fede autentica si rivelerà dalle difficoltà che si superano, che derivano dal confronto che i cristiani devono sostenere continuamente con le persone e l’ambiente che li circondano. Queste prove (qualunque esse siano) hanno lo scopo non solo di aumentare la fede, ma anche di metterla in luce.
A questo punto, c’è l’esortazione: ”esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”.
La gioia che i cristiani devono avere a motivo del loro rapporto con Dio e con Cristo, non si può esprimere umanamente, perché è una gioia già pervasa di gloria, cioè manifesta la realtà divina che è già presente in loro. Anche se umanamente inesprimibile, questa gioia ha la sua ragione di essere e che consiste nel fatto che essi stanno per giungere al traguardo della loro fede, cioè la salvezza delle loro anime.

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli diss
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20, 19-31

L’Evangelista Giovanni in questo brano ci presenta l'apparizione di Gesù ai discepoli la sera del giorno di Pasqua, il mandato che i discepoli ricevono da Lui e l'incredulità di Tommaso.
Il brano inizia nel riportare dove i discepoli erano riuniti e il loro stato d’animo:
“La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».”
I discepoli dopo la morte di Gesù, vivono nella paura e si sono chiusi nel cenacolo, per paura dei Giudei: la loro era una sensazione di angoscia, che cambia radicalmente con l'arrivo di Gesù. Giovanni non dice espressamente che Gesù ha attraversato le porte chiuse, ma intende dire che Egli è capace di rendersi presente ai Suoi discepoli in ogni circostanza. Il suo saluto "Pace a voi" non è il semplice augurio giudaico, shalom, , è il dono effettivo della pace, come Gesù stesso aveva già detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dá il mondo, io la do a voi.. (Gv 14,27).
“Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
Gesù si mostra come Colui che è stato crocifisso, mostrò infatti loro le mani e il fianco per far vedere le ferite dei chiodi e del colpo di lancia. (Giovanni è l'unico evangelista che riporta questo episodio e parla anche del colpo di lancia che ha trafitto il fianco di Cristo sulla croce).
“Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”
Gesù rinnova per loro il dono della pace, sottolineando che è iniziato un tempo nuovo che è caratterizzato da un compito nuovo affidato ai discepoli. E' la prima volta nel vangelo di Giovanni che Gesù invia esplicitamente i suoi discepoli.
“Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo…”
Questo gesto di Gesù riproduce il gesto primordiale della creazione dell'uomo (Gn 2,7), Il Creatore aveva alitato nell'uomo un soffio che fa vivere.
“A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”.
Con riferimento a Mt 26,28, Giovanni parla del contenuto del mandato affidato ai discepoli che riguarda il perdono dei peccati, il dono della misericordia, strettamente collegato al dono dello Spirito
Giovanni, dopo aver descritto il primo incontro di Gesù con i suoi la sera di Pasqua, precisa che Tommaso, quando venne Gesù, non era presente e, Tommaso da uomo molto pratico e razionale, non crede a quanto i compagni gli riferiscono, anzi dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”.
Queste condizioni che Tommaso pone nel credere denotano una forte sofferenza interiore, una sofferenza di non poter ancora credere, che è comunque una forma di fede incompleta, ma sincera!
Nella seconda apparizione ai discepoli nel cenacolo, otto giorni dopo, Gesù, dopo aver salutato gli amici col dono della pace, si rivolge subito a Tommaso negli stessi termini da lui utilizzati, per mostrare che, nel Suo amore, Egli conosce che cosa il Suo discepolo desiderava fare : “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!”. Gesù permette al discepolo di compiere il gesto richiesto, ma soprattutto lo invita ad agire da vero credente.
A questo invito Tommaso come folgorato esclama : «Mio Signore e mio Dio!» Nessun altro apostolo si era ancora spinto a dirgli: “Mio Dio”, non solo, ma l’aggettivo "mio" davanti a Signore e Dio denota anche un accento d'amore e di appartenenza.
Gesù allora conclude: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Tommaso è una figura controversa: da molti è considerato l’incredulo, in un certo senso la pecora nera degli apostoli. Eppure forse Tommaso è tutt’altro: è un prototipo, un paradigma, perché in ognuno di noi, in qualche angolo del nostro cuore c’è un Tommaso, c’è questa incredulità.
Sono tante le sfumature del dubbio che possiamo vivere soprattutto in questo periodo in cui dopo il tempo della Pandemia restiamo smarriti e sconcertati per gli orrori della guerra in Ucraina, perchè non possiamo fare a meno di chiederci come tutto questo sia possibile. Quante volte, di fronte a certi fatti, delusioni, lutti della vita, abbiamo dubitato e ci chiediamo: “Ma cosa fa Dio? E’ proprio un padre per noi? Dov’è?”. Tommaso ora ci insegna che ogni giorno dobbiamo riconquistare la nostra fede, non darla per scontata. Bisogna andare oltre, superare il buio che ci circonda fino ad essere visti da Gesù ed essere toccati dalle Sue mani, che sono sempre una carezza, un abbraccio ed anche un bacio. Allora il respiro di Gesù può diventare anche il nostro e se sentiamo Lui così, chi ci potrà far paura? .

*****

LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

Domenica scorsa abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, oggi assistiamo alla risurrezione del discepolo. È passata una settimana, una settimana che i discepoli, pur avendo visto il Risorto, hanno trascorso nel timore, stando «a porte chiuse» (Gv 20,26), senza nemmeno riuscire a convincere della risurrezione l’unico assente, Tommaso. Che cosa fa Gesù davanti a questa incredulità timorosa? Ritorna, si mette nella stessa posizione, «in mezzo» ai discepoli, e ripete lo stesso saluto: «Pace a voi!» (Gv 20,19.26). Ricomincia da capo. La risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute. Egli vuole che lo vediamo così: non come un padrone con cui dobbiamo regolare i conti, ma come il nostro Papà che ci rialza sempre. Nella vita andiamo avanti a tentoni, come un bambino che inizia a camminare, ma cade; pochi passi e cade ancora; cade e ricade, e ogni volta il papà lo rialza. La mano che ci rialza sempre è la misericordia: Dio sa che senza misericordia restiamo a terra, che per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi.
E tu puoi obiettare: “Ma io non smetto mai di cadere!”. Il Signore lo sa ed è sempre pronto a risollevarti. Egli non vuole che ripensiamo continuamente alle nostre cadute, ma che guardiamo a Lui, che nelle cadute vede dei figli da rialzare, nelle miserie vede dei figli da amare con misericordia.
Oggi, in questa chiesa diventata santuario della misericordia in Roma, nella Domenica che vent’anni fa san Giovanni Paolo II dedicò alla Misericordia Divina, accogliamo fiduciosi questo messaggio. A santa Faustina Gesù disse: «Io sono l’amore e la misericordia stessa; non c’è miseria che possa misurarsi con la mia misericordia» (Diario, 14 settembre 1937). Una volta, poi, la santa disse a Gesù, con soddisfazione, di avergli offerto tutta la vita, tutto quel che aveva. Ma la risposta di Gesù la spiazzò: «Non mi hai offerto quello che è effettivamente tuo». Che cosa aveva trattenuto per sé quella santa suora? Gesù le disse con amabilità: «Figlia, dammi la tua miseria» (10 ottobre 1937). Anche noi possiamo chiederci: “Ho dato la mia miseria al Signore? Gli ho mostrato le mie cadute perché mi rialzi?”. Oppure c’è qualcosa che tengo ancora dentro di me? Un peccato, un rimorso del passato, una ferita che ho dentro, un rancore verso qualcuno, un’idea su una determinata persona… Il Signore attende che gli portiamo le nostre miserie, per farci scoprire la sua misericordia.
Torniamo ai discepoli. Avevano abbandonato il Signore durante la Passione e si sentivano colpevoli. Ma Gesù, incontrandoli, non fa lunghe prediche. A loro, che erano feriti dentro, mostra le sue piaghe. Tommaso può toccarle e scopre l’amore, scopre quanto Gesù aveva sofferto per lui, che lo aveva abbandonato. In quelle ferite tocca con mano la vicinanza tenera di Dio. Tommaso, che era arrivato in ritardo, quando abbraccia la misericordia supera gli altri discepoli: non crede solo alla risurrezione, ma all’amore sconfinato di Dio. E fa la confessione di fede più semplice e più bella: «Mio Signore e mio Dio!» (v. 28). Ecco la risurrezione del discepolo: si compie quando la sua umanità fragile e ferita entra in quella di Gesù. Lì si dissolvono i dubbi, lì Dio diventa il mio Dio, lì si ricomincia ad accettare sé stessi e ad amare la propria vita.
Cari fratelli e sorelle, nella prova che stiamo attraversando, anche noi, come Tommaso, con i nostri timori e i nostri dubbi, ci siamo ritrovati fragili. Abbiamo bisogno del Signore, che vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità. Scopriamo di essere come dei bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso. E se, come il cristallo, siamo trasparenti di fronte a Lui, la sua luce, la luce della misericordia, brilla in noi e, attraverso di noi, nel mondo. Ecco il motivo per essere, come ci ha detto la Lettera di Pietro, «ricolmi di gioia, anche se ora […], per un po’ di tempo, afflitti da varie prove» (1 Pt 1,6).
In questa festa della Divina Misericordia l’annuncio più bello giunge attraverso il discepolo arrivato più tardi. Mancava solo lui, Tommaso. Ma il Signore lo ha atteso. La misericordia non abbandona chi rimane indietro. Ora, mentre pensiamo a una lenta e faticosa ripresa dalla pandemia, si insinua proprio questo pericolo: dimenticare chi è rimasto indietro. Il rischio è che ci colpisca un virus ancora peggiore, quello dell’egoismo indifferente. Si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me. Si parte da qui e si arriva a selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso. Questa pandemia ci ricorda però che non ci sono differenze e confini tra chi soffre. Siamo tutti fragili, tutti uguali, tutti preziosi. Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli. Aveva ricevuto misericordia e viveva con misericordia: «Tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,44-45). Non è ideologia, è cristianesimo.
In quella comunità, dopo la risurrezione di Gesù, uno solo era rimasto indietro e gli altri lo aspettarono. Oggi sembra il contrario: una piccola parte dell’umanità è andata avanti, mentre la maggioranza è rimasta indietro. E ognuno potrebbe dire: “Sono problemi complessi, non sta a me prendermi cura dei bisognosi, altri devono pensarci!”. Santa Faustina, dopo aver incontrato Gesù, scrisse: «In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso… [Signore], ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi» (Diario, 6 settembre 1937). Lei stessa, però, un giorno si lamentò con Gesù che, ad esser misericordiosi, si passa per ingenui. Disse: «Signore, abusano spesso della mia bontà». E Gesù: «Non importa, figlia mia, non te ne curare, tu sii sempre misericordiosa con tutti» (24 dicembre 1937). Con tutti: non pensiamo solo ai nostri interessi, agli interessi di parte. Cogliamo questa prova come un’opportunità per preparare il domani di tutti, senza scartare nessuno: di tutti. Perché senza una visione d’insieme non ci sarà futuro per nessuno.
Oggi l’amore disarmato e disarmante di Gesù risuscita il cuore del discepolo. Anche noi, come l’apostolo Tommaso, accogliamo la misericordia, salvezza del mondo. E usiamo misericordia a chi è più debole: solo così ricostruiremo un mondo nuovo.

Chiesa di Santo Spirito in Sassia
II Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), 19 aprile 2020

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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