Le letture di questa terza domenica di Pasqua, contengono un messaggio per tutti noi: il conflitto tra il desiderio di credere alla risurrezione e i timori umani che sia solo un’illusione.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci presenta Pietro, che davanti all’incredulità della gente riguardo alla discesa dello Spirito Santo, deve spiegare come la Sacra Scrittura annunciasse quanto era avvenuto in quei giorni, cioè che in Gesù si sono realizzate le promesse fatte da Dio a Davide, per cui Gesù è davvero il Signore e il Messia, cioè il Salvatore promesso da Dio.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro, dopo aver affermato che la santità cristiana consiste nel conformarsi alla santità di Dio, ricorda ai fedeli l’atteggiamento di timore filiale che essi devono avere nei confronti di Dio.
Nel Vangelo troviamo il racconto dei discepoli di Emmaus che solo Luca ci riporta. E’ uno stupendo racconto di un viaggio spirituale attraverso le strade desolate del dubbio e vediamo come anche in questo cammino l’uomo non è mai solo, c’è sempre la presenza segreta di Dio accanto a lui.
Possiamo fare nostra la preghiera del Canto al Vangelo: “Signore Gesù, facci comprendere le Scritture affinché arda il nostro cuore mentre ci parli.”
Dagli Atti degli Apostoli
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così:« Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso.
Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,
e anche la mia carne riposerà nella speranza,
perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi
né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto conoscere le vie della vita,
mi colmerai di gioia con la tua presenza.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
At 2,14a.22-33
Questo brano tratto dal Libro degli Atti degli Apostoli, presenta la prima testimonianza che gli apostoli danno di Gesù dopo aver ricevuto da Lui il dono dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste. E’ il primo discorso di Pietro, che sente la responsabilità della trasmissione della fede, e riassume la storia di salvezza che Dio ha fatto con il Suo popolo attraverso la vita e le opere di Gesù di cui, coloro a cui Pietro parla, sono stati testimoni per i prodigi da Lui compiuti, per la Sua morte in croce e soprattutto per la Sua resurrezione.
Sorprende la fermezza, la determinazione e il coraggio di Pietro, che viene sottolineata dai versetti con cui inizia il brano: “si alzò in piedi e a voce alta parlò….” . Lui, come gli altri apostoli, era pieno di angoscia e paura che, anche a loro stessi, capitasse quanto successo al Maestro. Tuttavia l’esperienza del Risorto fu di tale impatto che non solo rovesciò i criteri di comprensione dell’accaduto, ma per Pietro in particolare, in considerazione della sua triplice negazione avvenuta il giovedì della passione, è anche l’opportunità per riabilitarsi davanti al popolo e alle autorità, manifestando il suo ravvedimento con forza e coraggio.
Nei versetti precedenti di questo brano (vv. 14-21) Pietro aveva fatto riferimento ai fatti che hanno provocato l’assembramento della folla. Egli smentisce che gli apostoli erano ubriachi e spiega che quanto è accaduto non è altro che l’attuazione di ciò che era stato detto dal profeta Gioele (Gl 3,1-5a), che aveva preannunziato per la fine del mondo una grandiosa effusione dello Spirito.
Dopo questa introduzione, l’apostolo sviluppa cinque punti fondamentali del kerygma: la vita terrena di Gesù, la Sua morte e risurrezione, argomentazione scritturistica, testimonianza apostolica , esaltazione di Gesù .
La vita terrena di Gesù
“Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene»,
Pietro inizia il suo discorso con un accenno all’esperienza storica di Gesù e ricorda solo le opere straordinarie che l’hanno caratterizzata. I miracoli di Gesù sono presentati come opere compiute da Dio stesso, il quale se ne è servito per mostrare che Gesù era da Lui «accreditato», cioè per presentarlo come Suo rappresentante presso gli uomini. Pietro non insiste molto sull’attività di Gesù durante la Sua vita terrena perché sicuramente supponeva che essa era conosciuta dai suoi ascoltatori. Maggiori dettagli Pietro li mette nel discorso a Cornelio (At 10,36-38) che, essendo un pagano e vivendo lontano da Gerusalemme, non era forse del tutto al corrente della vita e dell’opera di Gesù.
la sua morte e risurrezione
«consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere»
Pietro passa al ricordo della morte di Gesù e la presenta come un crimine di cui sono responsabili i suoi stessi ascoltatori, i quali lo hanno compiuto con la collaborazione dei pagani. Si può notare che Pietro non vuole addossare la responsabilità della morte di Gesù a tutti i giudei, ma solo agli abitanti di Gerusalemme, ai quali è rivolto il discorso . L’apostolo sottolinea che la morte di Gesù non è stata qualcosa di imprevisto, ma è avvenuta in base ad un progetto prestabilito da Dio. Alla luce di questo dice appare chiaro che Dio stesso ha voluto la morte di Gesù per esprimere l’amore infinito che lo spingeva a salvare tutti gli uomini anche se violenti e peccatori. Il fatto di essere stati inconsciamente strumenti del piano di Dio non esclude però la piena responsabilità degli abitanti di Gerusalemme. Senza soffermarsi ulteriormente sulla morte di Gesù, Pietro passa immediatamente all’annunzio della Sua risurrezione (Egli si limita ad presentare il fatto, spiegandolo con l’espressione «liberandolo dai dolori della morte», Questa espressione è presa dal Sal 18,6 dove il salmista esalta Dio poiché lo ha liberato «dai lacci degli inferi», cioè dai pericolo di morte a cui era sottoposto;. Egli prosegue affermando « perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere, Perciò Pietro, dopo aver fatto allusione al piano divino, passa a darne una più dettagliata spiegazione.
argomentazione scritturistica
«Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza.»
Pietro interpreta la risurrezione di Gesù alla luce del Sal 16,8-11, in cui il salmista, in un momento di grande pericolo, si dichiara sicuro che Dio non lo lascerà andare nel sepolcro e non gli lascerà vedere la fossa.
Alla citazione biblica Pietro commenta;
«Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione».
Davide, ritenuto autore del salmo, è morto e ha visto la corruzione, come risulta dal fatto che esiste ancora la sua tomba. Egli perciò non poteva parlare di se stesso, ma doveva riferirsi ad un altro. Ora, in forza della profezia di Natan (2Sam 7,12 citato nel Salmi 132,11-12), Dio aveva promesso con giuramento a Davide che un suo lontano discendente si sarebbe seduto sul suo trono. Da ciò egli conclude che la Scrittura aveva preannunziato la risurrezione del Cristo, il messia discendente di Davide, che per Pietro è chiaramente Gesù. Pietro lo afferma rileggendo in chiave cristologica la finale del salmo 16,10: questi (Cristo) non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne (invece di «anima», per sottolineare la corporeità della risurrezione) «subì (nuovamente al passato) la corruzione».
Più che dare una vera prova biblica, Pietro rilegge il concetto di risurrezione in un testo che aveva originariamente un significato diverso, presentando così questo evento come il compimento del piano salvifico di Dio.
testimonianza apostolica
Dopo aver dimostrato che la risurrezione di Gesù è stata preannunziata dalle Scritture, Pietro riprende l’affermazione iniziale e la conferma mediante la testimonianza sua e degli altri apostoli: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni». Questa testimonianza diretta è il vero argomento in favore della risurrezione Gli apostoli annunziano ciò che hanno visto e sperimentato. Avendo provato che ciò corrisponde al piano divino delineato nell’Antico Testamento, Pietro è ora sicuro che nessuno potrà negare o mettere in questione la sua testimonianza.
esaltazione di Gesù
L’annunzio della morte e risurrezione di Gesù lascia ora il posto alla proclamazione della sua gloria attuale: «Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
In questo versetto si intrecciano alcune importanti riferimenti all’AT. Il participio «innalzato» si riferisce a Is 52,13, dove si parla dell’esaltazione del Servo di JHWH dopo la sua esperienza di dolore e di morte, con l’accenno al dono dello Spirito Pietro si rifà al testo di Gioele 3,1-2, mentre l’espressione «alla destra di Dio» allude, al Salmo 68,19, dove si dice: «Sei salito in alto conducendo prigionieri, hai ricevuto uomini in tributo: anche i ribelli abiteranno presso il Signore Dio».
Si può notare che l’annunzio di Pietro prende le mosse dalla vita terrena di Gesù e dalla sua predicazione, mettendo però al primo posto l’evento della Sua morte e risurrezione, confermata dalla testimonianza degli apostoli e dalla prova scritturistica.
Luca, nel discorso di Pietro, così radicato nel mondo biblico-giudaico, vuole sottolineare che il vangelo, la buona notizia del regno, che scaturisce dall’esperienza religiosa di Israele, è rivolto in primo luogo a questo popolo che per primo può comprenderlo e accoglierlo, e ciò vale per la Chiesa delle origini, ma è valido anche oggi. Il confronto con Israele, anche se non tutto questo popolo ha accettato Gesù come il messia promesso dai profeti, resta essenziale per la comprensione che la Chiesa ha di se stessa e del proprio ruolo nel mondo.
Salmo 15/16 Mostraci, Signore, il sentiero della vita.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio
Ho detto al Signore: “Il mio Signore sei tu”
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio
anche di notte il mio animo mi istruisce
Io pongo sempre davanti a me il Signore
Sta alla mia destra, non potrò vacillare.
Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima:
Anche il mio corpo riposa al sicuro
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
Mi indicherai il sentiero della vita
Gioia piena alla tua presenza
Dolcezza senza fine alla tua destra
Il salmista si rivolge a Dio con pace avendo eletto il Signore, quale suo rifugio. Non mancano a lui le difficoltà, gli avversari violenti. Senza l’unione con lui ogni cosa non sarebbe più per lui un bene. Egli ama i santi, i giusti; nel compimento messianico che è la Chiesa, i fratelli in Cristo. Egli si sente in forte comunione con loro, e trova forza da questo. Gli empi, che incalzano costruendo e affermando idoli, non lo sgomentano perché la sua vita è nelle mani di Dio, e niente per lui sarebbe sulla terra un bene senza il sommo bene, che è Dio: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”.
L’orante considera come Dio lo aiuta e conforta e come per lui questo sia tutto. La sorte (il sorteggio) (Cf. Gd 17,1; Nm 26,55; ecc.) che assegnò un tempo i vari territori ai casati di Israele, ora è violata dall’ingiustizia dei dominatori idolatri, ma questo fa comprendere meglio all’orante che la vera sua sorte la sua vera sicurezza e forza è proprio il Signore, che gli dà pace e letizia: “Signore è mia parte di eredità e mio calice”.
L’orante non tiene per se tutto questo, ma lo partecipa ai fratelli per un nutrirsi reciproco di luce. Non ha odio per gli empi e non li esclude dalla volontà salvifica di Dio: sono essi stessi ad escludersi da questa volontà con “le loro libagioni di sangue”, cioè i loro crimini, vero culto del male. Il salmista è certo che Dio non lo abbandonerà negli inferi una volta lasciata la terra: “non abbandonerai la mia vita negli inferi”. Ed egli sa che “il tuo Santo”, cioè il Cristo (Cf. At 13,35), avrà - ha avuto - vittoria sulla corruzione della tomba. Il salmista sa che percorrendo giorno dopo giorno “il sentiero della vita”, giungerà all’eterna dolcezza del cielo, alla destra di Dio, che è espressione letteraria indicante il glorioso essere con Dio.
In assoluta eccellenza è Cristo che nella gloria è alla destra del Padre
Commento tratto da “Perfetta Letizia”
Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.
Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.
Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.
1Pt 1,17-21
Pietro, nella sua esortazione, dopo aver affermato che la santità cristiana consiste nel conformarsi alla santità di Dio, in questo brano ricorda ai cristiani (quindi anche a noi oggi) quale sia l'atteggiamento giusto per rimanere nella vita e nella comunione con Dio.
“Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.”
C’è un chiaro riferimento alla preghiera del Padre nostro che probabilmente a quel tempo veniva già recitato nella celebrazione liturgica. I cristiani perciò possono chiamare Dio Padre, ma questo però non basta ad avere assicurata la salvezza. Lo stesso errore lo avevano fatto i giudei che dicevano "nostro padre è Abramo " (cf. Gv 8,39). Pietro ricorda che ci sarà un giudizio sulle opere dei cristiani ed essi sono chiamati a porsi in ascolto della parola di Dio, a porsi come figli nei Suoi confronti. Devono dunque procedere decisi sulla nuova strada che è stata aperta loro, senza lasciarsi andare a false certezze. La condizione dei cristiani è un po' come quella di stranieri, hanno assunto una nuova cittadinanza che li rende un po' diversi dagli altri. Questo era vero soprattutto per i cristiani che abitavano nell'impero romano.
“Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.”
La situazione dei cristiani convertiti dal paganesimo è un cambiamento da una vita senza senso, (qui definita vuota condotta), un cambiamento come quello di uno schiavo riscattato. Solitamente gli schiavi erano riscattati con una somma di denaro, grazie a qualche benefattore. Lo stesso vale per i cristiani, però il prezzo versato non era in monete d’argento o d’oro, ma il prezzo è stato il sangue di Cristo. Anche i pagani conoscevano bene i sacrifici di animali per ottenere qualcosa dalla divinità. Il sacrificio dell'agnello è direttamente legato ai sacrifici del popolo ebreo per ricordare la liberazione dalla schiavitù d'Egitto. L'agnello che veniva offerto doveva essere sano e integro, altrimenti il sacrificio non sarebbe stato valido. Gesù è l'Agnello perfetto in assoluto e ha reso il sacrificio ancora più prezioso .
“Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi” .
Pietro fa ora riferimento al piano di salvezza di Dio che era stato concepito già all'inizio del mondo, e che si è realizzato in un momento preciso della storia umana.
Nell'epoca di Pietro e di Paolo si pensava che il ritorno glorioso di Cristo fosse prossimo. La salvezza si è manifestata con la morte e la risurrezione di Cristo e negli anni seguenti si stava diffondendo tra i popoli del mondo allora conosciuto. Questi ultimi tempi sono i tempi in cui la lettera fu scritta, ma fanno riferimento anche ai tempi finali.
“ e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.”
La manifestazione piena del Cristo avviene dunque nel momento della Sua risurrezione, che è qui presentata come un’opera compiuta da Dio, che così facendo gli “ha dato gloria”, cioè ha pienamente riabilitato Colui che aveva patito una morte vergognosa.
Proprio sulla risurrezione di Cristo si basa la fede dei cristiani e da questa fede nasce la speranza che Dio porti a compimento anche per loro la risurrezione con la quale ha glorificato il Figlio Gesù.
Dal Vangelo secondo Luca
Ed ecco, in quello stesso giorno (il primo della settimana) due di loro (dei discepoli) erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Lc 24,13-35
In questo brano del vangelo di Luca, abbiamo un racconto molto noto dell'apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus. Luca scrive negli anni 80 per le comunità della Grecia che era formata in gran parte da pagani convertiti. Gli anni 60 e 70 erano stati molto difficili: nel 64 c’era stata la grande persecuzione di Nerone e sei anni dopo, nel 70, Gerusalemme fu totalmente distrutta dai romani. Nel 72, a Masada, nel deserto di Giuda, ci fu il massacro degli ultimi giudei ribelli, inoltre in quegli anni, gli apostoli, testimoni della resurrezione, stavano scomparendo, per cui si cominciava a sentire la stanchezza del cammino.
Luca riportando il racconto dell'apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus vuole insegnare alle comunità come interpretare la Scrittura per poter riscoprire la presenza di Gesù nella vita di ognuno.
Il racconto inizia citando due discepoli, Clèopa e un altro ignoto seguace di Cristo, che durante il cammino verso un villaggio di nome Emmaus, (luogo della tradizione, simbolo della vittoria di Israele sui pagani riportata dal 1 libro dei Maccabei) conversano di tutto quello che era accaduto.
I due non appartengono al gruppo degli undici, forse hanno fatto parte del numero dei settantadue discepoli inviati da Gesù in missione. Mentre discutono tra loro, Gesù in persona si avvicina e si mette a camminare con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.
Egli allora dice loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Essi si fermano rattristati. La domanda dello sconosciuto suppone che i due discutessero in modo piuttosto animato e la tristezza dei due discepoli di fronte alla domanda del forestiero esprime non tanto la reazione al fatto che egli non sappia che cosa è accaduto, ma il dispiacere per il fallimento delle loro attese messianiche. La crocifissione rappresentava per essi la fine d’ogni speranza!
Alla domanda rivolta loro, risponde meravigliato Clèopa: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. All’ulteriore domanda dell’uomo, che gli chiede di che cosa si tratti, essi rispondono: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.” (E’ da notare che la responsabilità della morte di Gesù viene attribuita ai gran sacerdoti e ai capi dei giudei, senza neppure menzionare il ruolo svolto dai romani, che normalmente Luca cerca di scagionare).
Anzitutto i due dicono di aver sperato “che fosse lui a liberare Israele”, ma aggiungono che “sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute”. Essi aspettavano dunque che Gesù attuasse la “liberazione di Israele”: questa espressione suppone un messianismo di carattere nazionalista e politico e l’accenno al “terzo giorno” dalla scomparsa di Gesù mette in risalto la perdita di ogni speranza. I due discepoli però non sono all’oscuro di quanto nel frattempo è successo. Essi sanno infatti che alcune donne del loro gruppo si sono recate al mattino al sepolcro e sono tornate a riferire di non avervi trovato il corpo di Gesù e di aver avuto una visione di angeli, i quali affermavano che egli è vivo. Inoltre alcuni dei loro erano andati al sepolcro e l’avevano trovato come avevano detto le donne, cioè vuoto, ma lui non l’avevano visto
A questo punto il forestiero stesso prende la parola riprendendo i due discepoli: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”
Il rimprovero riguarda il loro rifiuto di credere a quanto dicevano le Scritture profetiche, nelle quali si trova espressa la necessità storico-salvifica della sofferenza del Messia. E infatti, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiega loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Si può notare che mentre i discepoli avevano presentato Gesù come semplice profeta, egli lo indica espressamente come il Cristo. e come tale ha dovuto affrontare una sofferenza che era già stata predetta nelle Scritture: (è chiaro il riferimento ai carmi del Servo di JHWH) .
Quando i tre giungono vicino al villaggio dove i discepoli erano diretti, il forestiero fa per congedarsi da loro. Ma essi lo trattengono con queste parole: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Essi gli fanno una pressione garbata perché si fermi con loro, come avviene comunemente in Oriente quando si tratta di invitare una persona a casa propria. Qui si può cogliere soprattutto il bisogno dei discepoli di avere ancora con sé lo sconosciuto che, come diranno dopo, ha infiammato i loro cuori.
Quando furono a tavola, Gesù “prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”. Solo ora gli occhi dei due discepoli si aprono ed essi lo riconoscono … “Ma egli sparì dalla loro vista.” Sarebbe più appropriato dire “divenne invisibile”. Prima era con loro e non lo riconoscevano; quando lo riconoscono e lo accolgono diventa parte di loro. Ed essi si dicono l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”. I discepoli capiscono ora perché il cuore ardeva nel loro petto mentre Gesù spiegava loro le Scritture. Tuttavia ciò non era bastato per riconoscerlo, ma era stato necessario lo spezzare del pane.
I due allora partono senza indugio e fanno ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicono: ”Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!“.
Il riconoscimento di Gesù da parte dei due discepoli è fondato anzitutto su un’attenta lettura delle Scritture. I due non erano disposti ad accettare la Sua risurrezione perché non avevano saputo cogliere nelle scritture il significato salvifico della Sua morte in croce. Sapevano che era un profeta, ma non erano disposti ad accettare che fosse il Messia promesso dalle Scritture. La rilettura che Gesù indica è perciò indispensabile perché essi passino dall’incredulità alla fede. Il fatto che di fronte alle spiegazioni di Gesù il loro cuore ardesse nel petto significa che essi erano già preparati a questo tipo di interpretazione, sebbene non fossero capaci di fare da soli il passo decisivo
Benedetto XVI, in un'omelia, ricordava come l'atteggiamento dei discepoli di Emmaus tende, purtroppo, a diffondersi anche tra noi, quando ci allontaniamo dalla Gerusalemme del Crocifisso e del Risorto, non credendo più nella potenza e nella presenza viva del Signore. Il problema del male, del dolore e della sofferenza, il problema dell'ingiustizia e della sopraffazione, la paura degli altri, degli estranei e dei lontani che giungono nelle nostre terre e sembrano attentare a ciò che noi siamo, portano i cristiani di oggi a dire con tristezza: noi speravamo che il Signore ci liberasse dal male, dal dolore, dalla sofferenza, dalla paura, dall'ingiustizia. È necessario, allora,... sedersi a tavola con il Signore, diventare Suoi commensali, affinché la Sua presenza umile nel Sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue ci restituisca lo sguardo della fede, per guardare tutto e tutti con gli occhi di Dio, nella luce del Suo amore
******************
Il Vangelo Il Vangelo di oggi, ambientato nel giorno di Pasqua, racconta l’episodio dei due discepoli di Emmaus . È una storia che inizia e finisce in cammino. C’è infatti il viaggio di andata dei discepoli che, tristi per l’epilogo della vicenda di Gesù, lasciano Gerusalemme e tornano a casa, a Emmaus, camminando per circa undici chilometri. È un viaggio che avviene di giorno, con buona parte del tragitto in discesa. E c’è il viaggio di ritorno: altri undici chilometri, ma fatti al calare della notte, con parte del cammino in salita dopo la fatica del percorso di andata e tutta la giornata. Due viaggi: uno agevole di giorno e l’altro faticoso di notte. Eppure il primo avviene nella tristezza, il secondo nella gioia. Nel primo c’è il Signore che cammina al loro fianco, ma non lo riconoscono; nel secondo non lo vedono più, ma lo sentono vicino. Nel primo sono sconfortati e senza speranza; nel secondo corrono a portare agli altri la bella notizia dell’incontro con Gesù Risorto.
I due cammini diversi di quei primi discepoli dicono a noi, discepoli di Gesù oggi, che nella vita abbiamo davanti due direzioni opposte: c’è la via di chi, come quei due all’andata, si lascia paralizzare dalle delusioni della vita e va avanti triste; e c’è la via di chi non mette al primo posto se stesso e i suoi problemi, ma Gesù che ci visita, e i fratelli che attendono la sua visita, cioè i fratelli che attendono che noi ci prendiamo cura di loro. Ecco la svolta: smettere di orbitare attorno al proprio io, alle delusioni del passato, agli ideali non realizzati, a tante cose brutte che sono accadute nella propria vita. Tante volte noi siamo portati a orbitare, orbitare… Lasciare quello e andare avanti guardando alla realtà più grande e vera della vita: Gesù è vivo, Gesù mi ama. Questa è la realtà più grande. E io posso fare qualcosa per gli altri. È una bella realtà, positiva, solare, bella! L’inversione di marcia è questa: passare dai pensieri sul mio io alla realtà del mio Dio; passare – con un altro gioco di parole – dai “se” al “sì”. Dai “se” al “sì”. Cosa significa? “Se fosse stato Lui a liberarci, se Dio mi avesse ascoltato, se la vita fosse andata come volevo, se avessi questo e quell’altro…”, in tono di lamentela. Questo “se” non aiuta, non è fecondo, non aiuta noi né gli altri. Ecco i nostri se, simili a quelli dei due discepoli. I quali passano però al sì: “sì, il Signore è vivo, cammina con noi. Sì, ora, non domani, ci rimettiamo in cammino per annunciarlo”. “Sì, io posso fare questo perché la gente sia più felice, perché la gente migliori, per aiutare tanta gente. Sì, sì, posso”. Dal se al sì, dalla lamentela alla gioia e alla pace, perché quando noi ci lamentiamo, non siamo nella gioia; siamo in un grigio, in un grigio, quell’aria grigia della tristezza. E questo non aiuta neppure ci fa crescere bene. Dal se al sì, dalla lamentela alla gioia del servizio.
Questo cambio di passo, dall’io a Dio, dai se al sì, com’è accaduto nei discepoli? Incontrando Gesù: i due di Emmaus prima gli aprono il loro cuore; poi lo ascoltano spiegare le Scritture; quindi lo invitano a casa. Sono tre passaggi che possiamo compiere anche noi nelle nostre case: primo, aprire il cuore a Gesù, affidargli i pesi, le fatiche, le delusioni della vita, affidargli i “se”; e poi, secondo passo, ascoltare Gesù, prendere in mano il Vangelo, leggere oggi stesso questo brano, al capitolo ventiquattro del Vangelo di Luca; terzo, pregare Gesù, con le stesse parole di quei discepoli: “Signore, «resta con noi». Signore, resta con me. Signore, resta con tutti noi, perché abbiamo bisogno di Te per trovare la via. E senza di Te c’è la notte”.
Cari fratelli e sorelle, nella vita siamo sempre in cammino. E diventiamo ciò verso cui andiamo. Scegliamo la via di Dio, non quella dell’io; la via del sì, non quella del se. Scopriremo che non c’è imprevisto, non c’è salita, non c’è notte che non si possano affrontare con Gesù. La Madonna, Madre del cammino, che accogliendo la Parola ha fatto di tutta la sua vita un “sì” a Dio, ci indichi la via.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 26 aprile 2020