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Mag 5, 2023

V Domenica di Pasqua - Anno A - Gesù è via, verità e vita - 7 maggio 2023

Le letture che la liturgia di questa quinta domenica di Pasqua ci propone, ci aiutano a costruire l’architettura spirituale della Chiesa che ha il suo fondamento in Cristo “pietra viva”.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci presenta l’organizzazione della prima comunità cristiana in continua crescita. Accanto al ministero apostolico, ora ne appare un altro, detto servizio alle mense. Si può intravedere da questo l’origine del diaconato.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro, afferma che Gesù è la pietra angolare. Egli è l’unico fondamento dell’”Edificio spirituale” che è la Chiesa, il Suo corpo mistico.
Nel Vangelo di Giovanni, l’invocazione di Filippo: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”, esprime il desiderio più profondo dell’uomo: incontrare il volto di Dio. Ma Dio stesso in Gesù ci è venuto incontro indicandoci la strada per incontrarlo: nel volto di Gesù ha mostrato il Suo volto di Padre, infatti Gesù dice: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Gesù nel Suo “discorso di addio” agli apostoli afferma ancora: “Io sono la via, la verità e la vita”. Gesù è la “via” che guida a Dio attraverso la “verità” della Sua rivelazione, il Vangelo, ed Egli ci fa approdare a quella “vita” divina che Egli condivide con il Padre. Gesù è quindi l’avvio e la meta, è il fondamento e la volta della Chiesa di Dio, è la sua base terrena e il suo vertice celeste.

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove.
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola».
Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.
At 6,1-7

La prima parte del libro degli Atti riporta la prima espansione del cristianesimo in Gerusalemme e termina con il racconto delle vicende che hanno come protagonista Stefano, la cui morte violenta darà l’avvio all’annunzio del vangelo al di fuori di Gerusalemme.
Questo brano si apre con la descrizione di una situazione nuova che si era verificata nella comunità di Gerusalemme:
“In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”
Per la prima volta si trova il termine «discepoli», usato poi varie volte nel corso del libro per indicare coloro che aderivano al movimento di Gesù. Il numero dei discepoli continua ad aumentare, ma la vita della comunità è minacciata da una grave tensione fra i due gruppi che si erano formati al suo interno.
Il primo di questi gruppi di origine greca (indicato anche con l’appellativo di “ellenisti”), erano giudei residenti a Gerusalemme che frequentavano «la sinagoga detta dei “liberti” comprendente anche i cirenei, gli alessandrini e altri della Cilicia e dell’Asia» (cfr. 6,9): che nelle loro sinagoghe leggevano la Scrittura nella loro lingua nativa, il greco.
Probabilmente proprio da questo ambiente provenivano coloro che erano presenti in occasione della Pentecoste e, aderendo alla comunità dei discepoli di Gesù, avevano formato un gruppo a sé.
Il secondo gruppo è quello degli “ebrei” che in contrasto con gli ellenisti, saranno stati sicuramente i primi seguaci di Gesù, i quali erano sempre vissuti in Palestina, leggevano la Scrittura in ebraico (o aramaico).
Il contrasto tra questi due gruppi emerge per la questione della “assistenza quotidiana” che veniva prestata alle vedove.
I Dodici vengono a conoscenza dello scontento che serpeggia nella comunità e lo affrontano apertamente: «Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense». Queste parole lasciano intendere che indirettamente la critica riguardasse proprio loro, in quanto amministratori dei beni che venivano messi in comune (cfr. 4,35). Essi perciò dichiarano che non ritengono giusto dedicarsi al servizio delle mense, con il rischio di trascurare la parola di Dio. Il «servizio delle mense» era un incarico religioso importante nelle confraternite farisaiche, e consisteva sia nell’organizzazione delle agapi fraterne sia nell’equa distribuzione del cibo ai poveri.
Per risolvere il problema alla radice i Dodici propongono una divisione dei compiti. A tal fine incaricano la comunità di scegliere sette uomini di buona reputazione, «pieni di Spirito e di sapienza», ai quali affidare il servizio delle mense.
L’assemblea accoglie la proposta dei Dodici e procede all’elezione del gruppo dei Sette: «e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani».
Dato che tutti i prescelti portano un nome greco si può pensare che appartenessero al gruppo degli ellenisti. Si può ancora notare che dei «Sette», il primo e l’ultimo hanno una menzione particolare: Stefano, «uomo pieno di fede e di Spirito santo», cioè un uomo eccezionale dal punto di vista della fede di cui si parlerà subito dopo; Nicola invece è presentato come un «proselito», cioè un pagano che si era convertito al giudaismo prima di abbracciare la fede cristiana ed inoltre è originario di Antiochia, una città ellenistica, che avrà un posto molto importante nel seguito del racconto, perché ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.(cfr. 11,26).
L’investitura dei Sette si svolge in un clima liturgico, con la preghiera e l’imposizione delle mani. Anche se Luca non dà nessuna spiegazione sul significato di tale gesto, sembra evidente che si tratti di una benedizione e di un conferimento di autorità per poter adempiere al loro ruolo..
Il brano termina con la consueta espressione sulla crescita che accosta la diffusione della parola di Dio all’incremento numerico dei membri della chiesa. Luca riporta inoltre che fra i convertiti figurano molti «sacerdoti» cioè esponenti del sacerdozio giudaico. Luca non spiega il motivo di questo fatto, ma la logica del racconto lascia supporre che queste conversioni abbiano il loro peso nel conflitto che scoppierà subito dopo.

Salmo 32 - Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo.
Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Lodate il Signore con la cetra,
con l’arpa a dieci corde a lui cantate.

Perché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

Il salmo comincia con un’esortazione alla gioia. Infatti la tentazione della tristezza è sottile, porta l’anima a stancarsi nel perseverare nel bene e, alla fine, a rivolgersi al male come fonte sicura di consolazioni.
La tristezza non s’accompagna con la lode, ma con la lamentosità, e dunque bisogna mantenersi nella gioia per lodare il Signore, e del resto lodare il Signore mantiene nella gioia, quella vera, che non è euforia, ma realtà dell’amore.
Il salmista esorta ad allontanarsi dalla tristezza accompagnando la lode con la cetra, con l’arpa a dieci corde. La lode sia canto. Canto che nasce dall’amore, dal cuore, da un cuore puro. Non canto di bella voce, ma canto di bel cuore. “Cantate un canto nuovo”, esorta il salmista; il che vuol dire che il canto sia nuovo nell’amore. Si potranno usare le stesse parole, ma il canto sarà sempre nuovo se avrà la novità dell’amore. Non c’è atto d’amore che non possa dirsi nuovo se fatto con tutto il cuore.
“Con arte”, bisogna suonare, nell’esultanza e non nell’esaltazione.
Il salmista dice il perché della lode a Dio; perché “retta è la parola del Signore”, cioè non mente, costruisce, guida, dà luce, dà pace e gioia. E ogni opera sua è segnata dalla fedeltà all’alleanza che egli ha stabilito col suo popolo.
Egli ama il diritto e la giustizia, cioè la pace tra gli uomini, la comunione della carità, il rispetto dei diritti dell’uomo.
Egli ha creato le cose come dono all’uomo, per cui ogni cosa ha una ragione d’amore: “dell'amore del Signore è piena la terra”. La creazione procede dal suo volere, dalla sua Parola. Tutte le cose sono state create con un semplice palpito del suo volere. Le stelle, che nella volta celeste si muovono (moto relativo al nostro punto di vista) come schiere. Le acque del mare sono ferme come dentro un otre: esse non possono dilagare sulla terra. Nelle cavità profonde della terra ha confinato parimenti le acque abissali, che sfociano in superficie nelle sorgenti. Esse sono chiuse (“chiude in riserve gli abissi ”), e non diromperanno sulla terra unendosi a quelle dei mari e del cielo per sommergere la terra (Cf. Gn 1,6-10; 7,11).
Il salmista proclama il suo amore a Dio a tutta la terra, invitando tutti gli uomini a temere Dio, cioè a temere di offenderlo perché egli è infinitamente amabile. Gli abitanti del mondo tremino davanti a lui, perché misericordioso, ma è anche giusto giudice e non lascia impunito chi si ribella a lui. Egli è l’Onnipotente perché: “parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto”.
I popoli, le nazioni, che vogliono costruirsi senza di lui non avranno che sconfitta. I loro progetti sono vani, non avranno successo. Al contrario il disegno salvifico ed elevante del Signore rimane per sempre. Nessuno lo può arrestare. Esso procede dal suo cuore, cioè dal suo amore - “i progetti del suo cuore” - e rimane per sempre, per tutte le generazioni.
Il salmista poi celebra Israele; il nuovo Israele, quello che ha come capo Cristo, e del quale Israele un giorno farà parte (Rm 11,15).
Nessuno sfugge allo sguardo del Signore: “guarda dal cielo: egli vede tutti gli uomini”. E lui sa ben vedere il cuore dell’uomo poiché lui l’ha creato, e sa “comprendere tutte le sue opere”, perché sa vedere il merito o il demerito sulla base dell’adesione all’orientamento al bene del cuore, e alla grazia che egli dona.
La sua grazia è la forza dell’uomo nelle situazioni di difficoltà. L’uomo non deve credere di salvarsi dalle catastrofi sociali perché possiede cavalli, ma deve rivolgersi a Dio, che può “liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame”.
Il salmista, unito ai giusti, esprime una dolce professione di fede in Dio, una dolce speranza in lui: “L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo”; conclude poi con un’ardente invocazione: “Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo”.
Commento tratto da “Perfetta Letizia”

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo. Si legge infatti nella Scrittura:
«Ecco, io pongo in Sion
una pietra d’angolo, scelta, preziosa,
e chi crede in essa non resterà deluso».
Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono
la pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata pietra d’angolo
e sasso d’inciampo, pietra di scandalo.
Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola. A questo erano destinati. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.
1 Pt 2,4-9

In questo brano l’Apostolo, continuando le esortazioni a quanti hanno iniziato una nuova vita, li invita a costruire insieme a Cristo un nuovo edificio, un nuovo tempio in cui si offrono dei sacrifici che sono graditi a Dio.
Il brano inizia con queste parole “avvicinandovi al Signore, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo”.
Il Dio, che Gesù è venuto a fare conoscere agli uomini, non è più il Dio lontano e terribile di Israele, ma è un Dio vicino, l’Emanuele, Dio con noi. Pietro parlando di Gesù riprende l’immagine del salmo 117,22 (la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d'angolo) e lo chiama pietra viva, quella pietra che è stata rifiutata dagli uomini e che invece Dio l’ha scelta come preziosa. Come Cristo anche i cristiani possono sono «pietre vive», rigenerati «per una speranza viva» (cfr. 1,3) e partecipi della «grazia della vita» I sacrifici che i credenti offrono a Dio sono «spirituali» non perché sono astratti, ma perché, a somiglianza dell’«edificio spirituale», sono resi possibili dall’azione dello Spirito, sono da Lui animati, e si identificano con l’insieme della vita cristiana. Questi, e non altri, sono i sacrifici «graditi a Dio»: anche lo stesso culto di Israele è obiettivamente superato per la novità definitiva del nuovo patto. Essi gli sono offerti «mediante di Gesù Cristo», non solo perché è lui l’unico mediatore (cfr. Rm 8,34; Eb 7,25; 1Gv 2,1), ma anche perché i cristiani sono a Lui uniti e «in Lui» compiono quelle opere indicate come «sacrifici spirituali».
Le affermazioni riportate sono confermate con un riferimento a Isaia : «Si legge infatti nella Scrittura: «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa, e chi crede in essa non resterà deluso».. (Is 28,16).
Con questa citazione l’Apostolo intende sottolineare non solo che quanto ha affermato è contenuto nella stessa parola di Dio scritta, ma anzi che questa si realizza compiutamente solo in riferimento a Cristo e alla Chiesa.
Con le parole di Isaia si porta anzitutto l’attenzione sul rapporto tra Cristo, pietra angolare posta da Dio, e la Chiesa che su di Lui è costruita come edificio fatto di «pietre vive».
L’Apostolo prosegue ora contrapponendo la funzione positiva esercitata da Cristo, pietra angolare, nei confronti della comunità cristiana a quella negativa riguardante i non credenti: «Onore dunque a voi che credete; ma per quelli che non credono la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata pietra d’angolo e sasso d’inciampo, Essi v’inciampano perché non obbediscono alla Parola» La Scrittura dunque getta luce sull’esperienza della prima missione cristiana: per i giudei come per i pagani, Cristo è scandalo, sasso nel quale s’inciampa (1Cor 1,23; Rm 9,32-33), segno di contraddizione che causa la “rovina di molti” (Lc 2,34), perché contraddice le attese e le pretese umane. Gli increduli vi inciampano perché non obbediscono alla parola, respingendo l’iniziativa salvifica di Dio in Cristo. L’Apostolo aggiunge: «a questo erano destinati» affermando così che la stessa incredulità rientra nel disegno salvifico di Dio. Il concetto di pre-destinazione solleva certamente un difficile problema teologico: occorre però ricordare che la destinazione a inciampare, quindi a cadere e ad andare in rovina, va di pari passo con la responsabilità dell’uomo e con la destinazione di Cristo a «pietra angolare» per tutti . Chi lo respinge dunque non è escluso, ma si autoesclude dalla salvezza. Il tema della pre-destinazione appare anche altrove nel NT (per es. Rm 9,19-24; 11,25-27) con lo scopo non solo di affermare l’assoluta sovranità di Dio nella storia della salvezza, ma anche di ammonire circa la serietà del rifiuto opposto all’annuncio evangelico e di confermare nella fede quanti hanno accolto il messaggio cristiano.
A questo punto l’Apostolo dà alla Chiesa i titoli che compongono lo statuto di Israele come popolo santo di Dio: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”.
Ora, ai piedi della roccia che è Cristo tutta la comunità cristiana è consacrata “per un sacerdozio regale” accanto agli apostoli, che hanno il compito di presiedere il culto e annunziare la Parola di Dio alla Chiesa, tutti i fedeli col sacerdozio fondamentale e “comune” ricevuto nel battesimo, devono essere testimoni del Cristo risorto in mezzo al mondo, rispondendo agli interrogativi e alle speranze degli uomini.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere.
Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».
Gv 14, 1-12

Questo brano del Vangelo di Giovanni fa parte del discorso dell’ultima cena. Gesù aveva parlato già del tradimento di Giuda, della Sua dipartita e del rinnegamento di Pietro e tutto questo ha turbato l’animo degli apostoli. Gesù ora vuole rinfrancare la loro fede, dare loro speranza e dice: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”.- e per incoraggiare i discepoli fa loro questa promessa: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”.
Il posto che Gesù, morendo, va a preparare per i discepoli nella casa del Padre indica simbolicamente la comunione con Dio, nella quale Egli sta per entrare e alla quale ammetterà anche i discepoli. Poi alle domanda piena di inquietudine di Tommaso:”Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?”, fa le affermazioni più straordinarie del Nuovo Testamento: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.
Il presente “Io sono” è una formula di autorivelazione spesso usata da Gesù nel vangelo di Giovanni, ma per Tommaso questa parola indicava una strada per recarsi in un luogo; Gesù invece se ne serve per designare se stesso, proclamandosi così l’unico mediatore che conduce al Padre.
A questo punto è Filippo a porre l’altra domanda e volere così un altro chiarimento: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” . Gesù risponde con un velato rimprovero, «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre.”.. perché in forza della lunga convivenza con Lui, Filippo avrebbe dovuto conoscerlo, e così conoscere anche il Padre.
In forza del Suo rapporto strettissimo con il Padre, che fa dei due una cosa sola, entrare in rapporto con Gesù significa entrare in rapporto con il Padre. Per questo Filippo dovrebbe capire che non può chiedere di mostrargli il Padre. Gesù prosegue ponendo a sua volta la domanda:
“Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? - e poi afferma - Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me.
Qui Gesù presenta una novità assoluta, sconvolgente, e per gli ebrei addirittura blasfema, alla quale anche i non ebrei non si sono mai potuti abituare. Eppure Gesù ne parla, come se fosse una cosa normale, quasi logica, ai suoi discepoli di allora e a noi oggi. San Giovanni Paolo II nella sua enciclica Dives in misericordia (30 novembre 1980), al numero 3, scriveva: «Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. È quanto mai significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri, privi dei mezzi di sussistenza, coloro che sono privi della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza del creato, coloro che vivono nell’afflizione del cuore, oppure soffrono a causa dell’ingiustizia sociale, ed infine i peccatori. Soprattutto nei riguardi di questi ultimi il Messia diviene un segno particolarmente leggibile di Dio che è amore, diviene segno del Padre. In tale segno visibile, al pari degli uomini di allora, anche gli uomini dei nostri tempi possono vedere il Padre».
Ci troviamo di fronte al Mistero Trinitario: Mistero grande, Mistero di amore, Mistero ineffabile, di fronte al quale la parola deve lasciare il posto al silenzio dello stupore e dell'adorazione.

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“Nel Vangelo di oggi ascoltiamo l’inizio del cosiddetto “Discorso di addio” di Gesù. Sono le parole che rivolse ai discepoli al termine dell’ultima Cena, appena prima di affrontare la Passione. In un momento così drammatico Gesù cominciò dicendo: «Non sia turbato il vostro cuore» . Lo dice anche a noi, nei drammi della vita. Ma come fare perché il cuore non si turbi? Perché il cuore si turba.
Il Signore indica due rimedi al turbamento. Il primo è: «Abbiate fede in me». Sembrerebbe un consiglio un po’ teorico, astratto. Invece Gesù vuole dirci una cosa precisa. Egli sa che, nella vita, l’ansia peggiore, il turbamento, nasce dalla sensazione di non farcela, dal sentirsi soli e senza punti di riferimento davanti a quel che accade. Quest’angoscia, nella quale a difficoltà si aggiunge difficoltà, non si può superare da soli. Abbiamo bisogno dell’aiuto di Gesù, e per questo Gesù chiede di avere fede in Lui, cioè di non appoggiarci a noi stessi, ma a Lui. Perché la liberazione dal turbamento passa attraverso l’affidamento. Affidarci a Gesù, fare il “salto”. E questa è la liberazione dal turbamento. E Gesù è risorto e vivo proprio per essere sempre al nostro fianco. Allora possiamo dirgli: “Gesù, credo che sei risorto e che mi stai accanto. Credo che mi ascolti. Ti porto quello che mi turba, i miei affanni: ho fede in Te e mi affido a Te”.
C’è poi un secondo rimedio al turbamento, che Gesù esprime con queste parole: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. […] Vado a prepararvi un posto». Ecco che cosa ha fatto Gesù per noi: ci ha prenotato un posto in Cielo. Ha preso su di sé la nostra umanità per portarla oltre la morte, in un posto nuovo, in Cielo, perché lì dove è Lui fossimo anche noi. È la certezza che ci consola: c’è un posto riservato per ciascuno. C’è un posto anche per me. Ognuno di noi può dire: c’è un posto per me. Non viviamo senza meta e senza destinazione. Siamo attesi, siamo preziosi. Dio è innamorato di noi, siamo i suoi figli. E per noi ha preparato il posto più degno e bello: il Paradiso. Non dimentichiamolo: la dimora che ci attende è il Paradiso. Qui siamo di passaggio. Siamo fatti per il Cielo, per la vita eterna, per vivere per sempre. Per sempre: è qualcosa che ora non riusciamo neppure a immaginare. Ma è ancora più bello pensare che questo per sempre sarà tutto nella gioia, nella comunione piena con Dio e con gli altri, senza più lacrime, senza rancori, senza divisioni e turbamento.
Ma come raggiungere il Paradiso? Qual è la via? Ecco la frase decisiva di Gesù. Oggi di dice: «Io sono la via» . Per salire in Cielo la via è Gesù: è avere un rapporto vivo con Lui, è imitarlo nell’amore, è seguire i suoi passi. E io, cristiano, tu, cristiano, ognuno di noi cristiani, possiamo domandarci: “Quale via seguo?”. Ci sono vie che non portano in Cielo: le vie della mondanità, le vie per autoaffermarsi, le vie del potere egoista. E c’è la via di Gesù, la via dell’amore umile, della preghiera, della mitezza, della fiducia, del servizio agli altri. Non è la via del mio protagonismo, è la via di Gesù protagonista della mia vita. È andare avanti ogni giorno domandandogli: “Gesù, che cosa pensi di questa mia scelta? Che cosa faresti in questa situazione, con queste persone?”. Ci farà bene chiedere a Gesù, che è la via, le indicazioni per il Cielo. La Madonna, Regina del Cielo, ci aiuti a seguire Gesù, che per noi ha aperto il Paradiso.”
Papa Francesco  Parte dell’Angelus del 10 maggio 2020

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L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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