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Mag 5, 2023

IV Domenica di Pasqua - Anno A - Gesù buon Pastore - 30 aprile 2023

La quarta domenica di Pasqua ritorna ogni anno come giornata del Buon Pastore e della Vocazione, in particolare quella sacerdotale e religiosa. Le letture che la liturgia ci offre sono pervase dal simbolismo carico di risonanze del pastore che a noi spesso sfuggono perchè il pastore nell’antico Oriente non era solo la guida del gregge, ma il compagno di vita in modo totale, pronto a condividere con le sue pecore la sete, le marce, il sole infuocato, il freddo notturno.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, vediamo come l’annuncio evangelico predicato da Pietro e dagli altri discepoli, raggiunge il suo scopo: la conversione e il perdono dei peccati. Il battesimo, ricevuto come atto di consacrazione a Cristo, non solo è segno del perdono ottenuto, ma anche sigillo di appartenenza al nuovo popolo costituito da Giudei e da pagani.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro, afferma che Gesù con la Sua morte e risurrezione ha guarito i cristiani dal peccato e dal desiderio di vendetta, per questo essi devono vivere una vita nuova sull’esempio di Cristo.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù viene presentato come il Buon Pastore che afferma: Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono… Anche nell’Apocalisse Cristo viene presentato come l’Agnello sacrificale che si trasforma in Buon Pastore: l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E’ bellissima l’espressione che segue: “E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi»… quante volte l’abbiamo ricordata nei momenti di sofferenza dove nessun intervento umano poteva consolarci; chiama alla mente anche un versetto del salmo 56 I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro? Non ci si sente mai soli, quando il Signore si fa vivo accanto a noi con la Sua parola, illuminando così i momenti più bui della nostra esistenza.

Dagli Atti degli Apostoli
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».
Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
At 2,14a. 36-41

Questo brano degli Atti riporta il seguito del discorso che Pietro pronunciò il giorno di Pentecoste di cui la prima parte l’abbiamo ascoltata domenica scorsa. .
Pietro, dopo aver descritto come l’evento di Cristo si inserisce nel piano salvifico di Dio, riassume con una frase ancora più eloquente il suo annuncio: “Sappia con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”
Pietro dopo aver affermato che, in forza dell’esaltazione raggiunta con la Sua morte e risurrezione, Dio ha costituito Gesù “Signore e Cristo”” ed Egli ha assunto il ruolo di giudice che compete a Dio. Inoltre Gesù è presentato come colui che adempie le speranze messianiche del popolo di Israele. Questi due titoli descrivono il ruolo salvifico che spetta ormai proprio a colui che gli ascoltatori di Pietro hanno crocifisso.
Pietro parlò con tale convinzione che i presenti “All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore”, nel senso che spiegò loro molto bene l’errore commesso, ormai irreparabile, nei riguardi di Gesù, che si sentirono come persi e sconcertati per aver condannato chi ora è giustificato da Dio stesso e il loro grande sconcerto suscita la domanda che rivolgono “a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?»”.
È importante che si rivolgano agli apostoli chiamandoli “fratelli”, segno della costituzione di un rapporto ben diverso da quello di seguaci di un bestemmiatore e convinti dell’efficacia della loro predicazione.
Pietro risponde: : “Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo”. La conversione comportava lo stravolgimento delle loro convinzioni nei riguardi di Dio e dell’avvento del Regno, l’attesa e la speranza d’Israele.
Pietro sottolinea poi che il suo invito si basa sul fatto che la promessa di Dio è rivolta direttamente ai presenti “ Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro”. Viene sottolineato anche qui che il primo destinatario del vangelo è e resterà per sempre il popolo ebraico, ma l’annunzio però viene esteso anche ai ”lontani”. Con questo termine sono indicati i pagani (anche in Isaia Is 57,19 viene espresso questo concetto, che S.Paolo riprendrerà nella sua lettera agli Ef 2,13) .
Come conclusione Pietro esorta gli ascoltatori a salvarsi da “questa generazione perversa” e con questa espressione indica il popolo di Israele ribelle al suo Dio ( Dt 32,5; Sal 78,8).
Alla fine del discorso Luca osserva che “coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone”.
Questo è un segno della potenza dello Spirito che opera nel primo nucleo della Chiesa e al tempo stesso dell’impatto che l’annunzio evangelico ha avuto nel mondo giudaico a cui per primo è stato rivolto.
Anche per noi la vera conversione presuppone un distacco non tanto dalla società in cui viviamo, quanto piuttosto dalle strutture ingiuste che tante volte la condizionano. L’adesione a Cristo deve incidere non solo sulla nostra mentalità, ma anche sul nostro modo di vivere, che implica la capacità di stabilire rapporti nuovi con tutti, improntati alla ricerca della giustizia e del bene comune.

Salmo 22 Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.

L’orante ha fatto l’esperienza di come il Signore lo guidi in mezzo a numerose difficoltà tesegli dai nemici. Egli dichiara che non manca di nulla perché Dio in tutto l’aiuta. Le premure del suo Pastore sono continue e si sente curato come un pastore cura il suo gregge conducendolo a pascoli erbosi e ad acque tranquille. L’orante riconosce che tutto ciò viene dalla misericordia di Dio, che agisce “a motivo del suo nome”, ma egli corrisponde con amore all’iniziativa di Dio nei suoi confronti.
La consapevolezza che Dio lo ama per primo gli dà una grande fiducia in lui, cosicché se dovesse camminare nel buio notturno di una profonda valle non temerebbe le incursioni di briganti o persecutori, piombanti dall’alto su di lui.
La valle oscura è poi simbolo di ogni situazione difficile nella quale tutto sembra avverso.
Dio, buon Pastore, lo difende con il suo bastone e lo guida dolcemente con il suo vincastro, che è quella piccola bacchetta con cui i pastori indirizzano il gregge con piccoli colpetti.
Non solo lo guida in mezzo alle peripezie, ma anche gli dona accoglienza, proprio davanti ai suoi nemici, i quali pensano di averlo ridotto ad essere solo uno sconvolto e disperato fuggiasco. Egli, al contrario, è uno stabile ospite del Signore che gli prepara una mensa e gli unge il capo con olio per rendere lucenti i suoi capelli e quindi rendere bello e fresco il suo aspetto. E il calice che ha davanti è traboccante, ma non perché è pieno fino all’orlo, ma perché è traboccante d'amore.
Quel calice di letizia è nel sensus plenior del salmo il calice del sangue di Cristo, mentre la mensa è la tavola Eucaristica, e l’olio è il vigore comunicato dallo Spirito Santo.
Il cristiano abita nella casa del Signore, l’edificio chiesa, dove c’è la mensa Eucaristica.
Quella casa, giuridicamente, è della Diocesi, della Curia, ma è innanzi tutto del Signore, e quindi egli, per dono del Signore, vi è perenne legittimo abitante.
Commento tratto da “Perfetta Letizia “

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccatoe non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia;
dalle sue piaghe siete stati guariti.
Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti
al pastore e custode delle vostre anime.
1Pt 2, 20b-25

In questo brano tratto dal secondo capitolo della lettera di Pietro, vengono presentate alcune indicazioni pratiche sul comportamento dei cristiani che allora venivano guardati con sospetto e spesso considerati come malfattori poiché nell'impero romano risultavano come elementi "estranei", quindi la loro condotta oltre che ad essere ispirata ai principi del Vangelo e della vita nuova in Cristo, doveva apparire retta ed onesta, per mostrare a tutti che questa nuova religione non portava alcun danno alla vita sociale.
Nei versetti precedenti l’apostolo aveva spiegato come doveva essere l'atteggiamento verso le autorità (2,13-16) e verso i padroni, per coloro che ancora erano schiavi (2,18-19).
In questo brano si sofferma sul significato della sofferenza per cui dice:
“ se, facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio”.
Anche se all'interno della comunità cristiana gli schiavi avevano gli stessi diritti degli uomini liberi, la loro situazione sociale rimaneva la stessa. Solo più tardi, al tempo del tardo impero, il cristianesimo poté chiedere il riscatto degli schiavi. Anche se i padroni spesso erano molto duri con loro, Pietro non li invita alla ribellione ma a sopportare con pazienza il male ingiusto e dà loro una motivazione per sostenere con maggiore forza la loro difficile situazione.
“A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
A Dio non è gradita la sofferenza dei Suoi figli, ma la pazienza con cui essi la sopportano La sofferenza fa parte dell’esistenza umana e nessuno ne è esente. Ma un aspetto specifico della vocazione cristiana è proprio la capacità di affrontare la sofferenza e dare ad essa un giusto significato. L’apostolo sottolinea che si è trattato di una sofferenza “per voi”, e questo significa che Cristo non ha subito passivamente la sofferenza che gli era inflitta, ma l’ha affrontata in favore dei credenti. Da essa quindi non possono essere esclusi i Suoi discepoli, i quali anche in questo devono seguire le Sue orme. Poi passa a spiegare in che cosa consiste il “per voi” che caratterizza l’esempio di Gesù che
“non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca; insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia”
Qui sottolinea che Gesù ha sofferto pur essendo completamente innocente. Ciò viene espresso con le stesse parole di cui si serve il Deuteroisaia per qualificare il comportamento del Servo di JHWH ( Is 53,9), Anche Gesù si è comportato nello stesso modo: mentre era sottoposto alla sofferenza, non rispondeva agli oltraggi e non minacciava di vendicarsi. Egli ha potuto vincere il peccato perché non si è lasciato coinvolgere in esso, e proprio come il Servo di JHWH, Gesù affidava a Dio la sua causa (Is 49,4b; 50,8a; Ger 11,19-20), sapendo che egli è Colui che giudica con giustizia.
La sofferenza di Cristo non è stata senza effetto:
“Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime”.
Il Servo ha preso su di sé le conseguenze dei peccati dei suoi connazionali, cioè la violenza di cui erano impregnati (Is 53,5-8) e allo stesso modo Gesù ha subito le conseguenze della malvagità umana, affinché coloro che credono in Lui potessero vivere non più per il peccato ma per la giustizia. Le Sue piaghe, simbolo della Sua sofferenza, sono diventate così uno strumento di guarigione.
L’effetto ultimo è stato il fatto che le pecore disperse (Is 53,6) hanno trovato il Lui la possibilità di ritornare al loro pastore: in questo consiste la salvezza che Egli ha portato.
I credenti, i quali per primi hanno sperimentato in se stessi gli effetti dell’amore di Cristo, devono sapere che potranno raggiungere lo stesso risultato soffrendo, da innocenti, per gli altri.
L’amore non violento, che i cristiani esprimono nella sofferenza sulle orme di Cristo, rappresenta la testimonianza più convincente che essi possono dare al vangelo.

Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
GV 10, 1-10

Il discorso di Gesù, che apre il capitolo 10 di Giovanni, segue immediatamente l'episodio del cieco nato.
Dopo aver accolto la professione di fede del cieco della piscina di Siloe., Gesù aveva pronunciato una frase di denuncia verso i farisei:“ Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi”. E ai farisei che chiesero spiegazioni. Gesù risponde: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane”. Gv 9 39-41
Gesù continua il Suo discorso, che in questo brano viene riportato la prima parte, in cui passa dal tema della luce a quella del pastore e delle sue pecore, e termina parlando di sé come della porta delle pecore.
Possiamo immaginare che Gesù, probabilmente mentre parlava guardava i suoi connazionali che attraversavano questa porta per entrare nel cortile del tempio, (non è sicuramente un caso che una delle porte del Tempio di Gerusalemme, si chiami "porta delle Pecore" (Bab-a-Sahairad):
“In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante”. Il discorso inizia in modo solenne: "in verità, in verità"., che è una formula che introduce spesso i discorsi di Gesù soprattutto nel Vangelo di Giovanni.. Egli parla di un recinto delle pecore e la simbologia che usa si può collegare del cieco nato. Il recinto delle pecore era costituito da un muro abbastanza alto, ricoperto di rami che facevano da tettoia, per proteggere le pecore da animali feroci e dagli agenti atmosferici. Un ladro avrebbe potuto agevolmente scavalcare il muro ed entrarvi. I ladri e i briganti di cui Gesù parla possono essere identificati nei i farisei, i quali senza un vero mandato si erano nominati maestri del popolo, non per aiutarlo ma per seguire il proprio interesse.
“Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”
Il tono è chiaramente polemico: contrapposto ai ladri e ai briganti vi è il pastore delle pecore, la guida legittima del suo gregge, che entra dalla porta e non si arrampica lungo il muro.
Il portinaio è il guardiano dell'ovile che custodisce le pecore chiuse durante la notte e anch'egli come le pecore riconosce il pastore e gli apre la porta. Il pastore chiama le sue pecore “ciascuna per nome”!. Ogni pecora viene chiamata singolarmente e questa chiamata denota l'appartenenza al pastore.
Il pastore conduce fuori le pecore e il verbo condurre ha un significato molto forte per l'azione di un pastore, ricorda il libro dell’Esodo in cui Mosè condusse il popolo fuori dall’Egitto.
“E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Dopo aver fatto uscire tutte le sue pecore, il pastore "cammina" davanti a loro..
Il popolo di Israele (anche se non nella sua totalità) ha riconosciuto la voce del suo pastore. Coloro che lo aspettavano non si sono lasciati irretire da altri, dagli estranei.
“ Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore”
Gesù aveva esposto un quadro simbolico, talmente simbolico che i suoi ascoltatori non hanno capito ciò che Egli voleva dire loro. Continua allora il suo discorso, ripetendo ancora la sua formula solenne, ma questa volta parla in prima persona e si definisce la porta delle pecore. Soltanto attraverso di Lui le pecore possono passare e andare verso la vita, verso pascoli che assicurano loro la vita in abbondanza.
“Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati”.
Certamente Gesù non si riferisce ai patriarchi e ai profeti di Israele, che parlavano in nome di Dio, ma vuole intendere coloro che si presentavano come il Messia o come profeti, ma in realtà erano mentitori e non sono stati accolti dal gregge di Israele. Uno solo è il vero Messia, l'inviato dal Padre che Israele attendeva.
“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”.
Gesù si definisce ora semplicemente come la "porta", che conduce alla vita. L'espressione "entrare e uscire" indica la libertà di qualcuno nella vita ordinaria, che troviamo nel libro dei Numeri (27,17). Il pascolo, simbolo di una vita opulenta, preparano la sovrabbondanza di vita a cui allude il versetto seguente , dove si può cogliere un’eco del salmo 22. “Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.
Queste parabola non è solo solare, presenta anche la tenebra. Si intravede, infatti, nella notte un ladro, che sale da un’altra parte e non dalla porta, seminando panico tra le pecore. Ai verbi di vita che segnavano l’azione del buon pastore, subentrano quelli della morte che il ladro porta con sé.
Già il profeta Ezechiele, più di cinque secoli prima, aveva contrapposto i due volti:
quello del pastore, che va in cerca della pecora perduta e ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita e curare quella malata, aver cura della grassa e della forte, per pasciarle tutte con giustizia. (Ez 34,16) e quello del falso pastore che “si nutre di latte, si riveste di lana, ammazza la pecora più grassa, ma non pascola con amore il suo gregge.” (Ez 34,3)
Chiediamoci tutti noi di quale gregge facciamo parte e come possiamo riconoscere che è Cristo il nostro Pastore … forse quando ognuno di noi potrà dire: “Sì Signore, io ti conosco perché tu mi hai fatto e risanato, nessuno mi ha amato più di te che mi hai salvato e redento, seguo la tua voce perché nessun’altro, all’infuori di te, sa chi veramente sono, di che cosa ho bisogno, dove voglio andare” si accorgerà di aver raggiunto la gioia più grande che su questa terra potrà mai avere .

 

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“Nel Vangelo di questa domenica , detta “la domenica del buon pastore”, Gesù si presenta con due immagini che si completano a vicenda. L’immagine del pastore e l’immagine della porta dell’ovile.
Il gregge, che siamo tutti noi, ha come abitazione un ovile che serve da rifugio, dove le pecore dimorano e riposano dopo le fatiche del cammino. E l’ovile ha un recinto con una porta, dove sta un guardiano. Al gregge si avvicinano diverse persone: c’è chi entra nel recinto passando dalla porta e chi «vi sale da un’altra parte» . Il primo è il pastore, il secondo un estraneo, che non ama le pecore, vuole entrare per altri interessi.
Gesù si identifica col primo e manifesta un rapporto di familiarità con le pecore, espresso attraverso la voce, con cui le chiama e che esse riconoscono e seguono. Lui le chiama per condurle fuori, ai pascoli erbosi dove trovano buon nutrimento.
La seconda immagine con cui Gesù si presenta è quella della «porta delle pecore» . Infatti dice: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato» , cioè avrà la vita e l’avrà in abbondanza . Cristo, Buon Pastore, è diventato la porta della salvezza dell’umanità, perché ha offerto la vita per le sue pecore.
Gesù, pastore buono e porta delle pecore, è un capo la cui autorità si esprime nel servizio, un capo che per comandare dona la vita e non chiede ad altri di sacrificarla. Di un capo così ci si può fidare, come le pecore che ascoltano la voce del loro pastore perché sanno che con lui si va a pascoli buoni e abbondanti. Basta un segnale, un richiamo ed esse seguono, obbediscono, si incamminano guidate dalla voce di colui che sentono come presenza amica, forte e dolce insieme, che indirizza, protegge, consola e medica.
Così è Cristo per noi. C’è una dimensione dell’esperienza cristiana che forse lasciamo un po’ in ombra: la dimensione spirituale e affettiva. Il sentirci legati da un vincolo speciale al Signore come le pecore al loro pastore. A volte razionalizziamo troppo la fede e rischiamo di perdere la percezione del timbro di quella voce, della voce di Gesù buon pastore, che stimola e affascina.
Come è capitato ai due discepoli di Emmaus, cui ardeva il cuore mentre il Risorto parlava lungo la via. È la meravigliosa esperienza di sentirsi amati da Gesù. Fatevi la domanda: “Io mi sento amato da Gesù? Io mi sento amata da Gesù?”. Per Lui non siamo mai degli estranei, ma amici e fratelli. Eppure non è sempre facile distinguere la voce del pastore buono. State attenti. C’è sempre il rischio di essere distratti dal frastuono di tante altre voci. Oggi siamo invitati a non lasciarci distogliere dalle false sapienze di questo mondo, ma a seguire Gesù, il Risorto, come unica guida sicura che dà senso alla nostra vita.
In questa Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni – in particolare per le vocazioni sacerdotali, perché il Signore ci mandi buoni pastori – invochiamo la Vergine Maria: Lei accompagni i dieci nuovi sacerdoti che ho ordinato poco fa. Ho chiesto a quattro di loro della diocesi di Roma di affacciarsi per dare la benedizione insieme a me. La Madonna sostenga con il suo aiuto quanti sono da Lui chiamati, affinché siano pronti e generosi nel seguire la sua voce.”
Papa Francesco Angelus, 7 maggio 2017

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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