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Giu 26, 2023

XI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - "Gesù invia i suoi discepoli in missione" - 18 giugno 2023

Le letture che la liturgia di questa domenica ci presenta richiamano la missionarietà di tutta la Chiesa e non solo di alcuni suoi membri. L’invio in missione dei discepoli da parte di Gesù coinvolge oggi la Chiesa intera, non solo alcuni suoi membri: tutti possono essere missionari, tutti possono sentire quella chiamata di Gesù e andare avanti e annunciare il Regno!
Nella prima lettura, tratta dal Libro dell’Esodo, Dio tramite Mosè, ricorda al popolo i suoi benefici con un immagine suggestiva (ali d’aquila) per indicare il carattere straordinario e amoroso del Suo intervento Gli avvenimenti dell’Esodo e del Sinai servono soprattutto alla elezione del popolo e comportano una separazione che si attua in un particolare stile di vita che aiuta a testimoniare il disegno di Dio nell’uomo .
Nella seconda lettura, San Paolo nella sua lettera ai Romani vuole attrarre la nostra attenzione sul fatto che Gesù diede la sua vita per il bene degli esseri umani nonostante non ci fosse in loro nulla che meritasse un gesto simile. Il credente riconciliato con Dio attraverso Gesù Cristo non deve pensare che Dio possa dimenticarsi di lui, anzi l’apostolo Paolo si spinge oltre e ci dice che il credente deve gloriarsi in Dio, deve vantarsi della sua salvezza!
Nel Vangelo di Matteo colpisce subito come inizia il brano Gesù vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore, e il commento “La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Gesù sceglie i Suoi discepoli per inviarli in missione e questo invito lo rinnova oggi ad ognuno di noi anche a coloro che hanno ricevuto solo il primo sacramento il Battesimo

Dal libro dell’Esodo
In quei giorni, gli Israeliti, levate le tende da Refidim, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte.
Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli; mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa.
Es 19,2-6

L'Esodo è il secondo libro della Bibbia cristiana e della Torah ebraica. È stato scritto in ebraico e, secondo l'ipotesi di molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. È composto da 40 capitoli, nei primi 14 descrive il soggiorno degli Ebrei in Egitto, la loro schiavitù e la miracolosa liberazione tramite Mosè, mentre nei restanti descrive il soggiorno degli Ebrei nel deserto del Sinai. Il periodo descritto si colloca intorno al 1300-1200 a.C.
Il libro è suddiviso in tre grandi sezioni, corrispondenti ai tre momenti della narrazione:
La prima, (capitoli 11,1-15,21), comprende il racconto dell'oppressione degli Ebrei in Egitto, la nascita di Mosè, la fuga di Mosè a Madian e la scelta divina, il suo ritorno in Egitto, le dieci piaghe e l'uscita dal paese.
La seconda sezione (15,22-18,27) narra del viaggio lungo la costa del Mar Rosso e nel deserto del Sinai.
La terza (19,1-40,38) riguarda l'incontro tra Dio e il popolo eletto, mediante le tappe fondamentali del decalogo e del codice dell'alleanza, seguito dall'episodio del vitello d'oro e dalla costruzione del Tabernacolo
Il brano che abbiamo, è tratto dalla terza sezione, in cui gli israeliti, levate le tende da Refidim, giunsero al deserto del Sinai, dove si accamparono;-
«Mosè salì verso Dio ,e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: “Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti:» Lo scopo per cui Mosè salì verso Dio era quello di ricevere e trasmettere al popolo il Suo messaggio
Dio chiama anche oggi ognuno di noi, e ci invita a fermarci a fare memoria del passato, a riconoscere la sua presenza nella nostra storia.
« Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me» Viene espressa una metafora meravigliosa, usata per descrivere il significato della loro liberazione dalla condizione di schiavitù in cui si trovavano in Egitto, e la rapidità con cui furono trasportati in sicurezza tra le montagne (cfr Dr 32,11). Viene anche presentata un’immagine usata nell’Apocalisse (12,14), per simboleggiare la Chiesa cristiana come una donna portata nel deserto sulle ali di una grande aquila.
Personalmente possiamo percepire che Dio dice ora ad ognuno: Sono con te da sempre, ti ho accompagnato, sostenuto, aiutato… non è difficile percepire in queste parole un amore carico di premura e tenerezza.
Dio dopo aver ricordato al popolo i suoi benefici con immagini suggestivi che indicano il carattere straordinario e amoroso del Suo intervento, fa la sua proposta «Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli; mia è tutta la terra!»
Il Signore chiede semplicemente l’ascolto della sua voce, non chiede nulla in cambio, solamente una relazione basata sull’ascolto con volontà di custodire la sua alleanza, la sua amicizia.
«Voi sarete per me un regno di sacerdoti.».
Considerarsi un regno di sacerdoti vuol dire essere intermediari tra il Dio universale e tutti i popoli,
e una nazione santa –cioè impegnata a vivere sotto l’aspetto morale la propria consacrazione.
Per ognuno di noi Dio ha un progetto, che non sappiamo come si realizzerà ma che possiamo scoprire se ci affidiamo a Lui e ci mettiamo in ascolto

Salmo 99/100

Noi siamo suo popolo,gregge che egli guida.

Acclamate al Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

Questo salmo è un invito a tutti i popoli della terra a riconoscere l'unico Dio e a servirlo, cioè obbedire al suo disegno, che ha come oggetto l'uomo stesso.
Il salmista invita a servirlo nella gioia, cioè con la gratitudine, l'esultanza di chi si riconosce amato e salvato da Dio. Il salmista desidera che i popoli della terra riconoscano l'identità d Israele per poterne partecipare: “Riconoscete che solo il Signore è Dio: egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo”. L'invito al tempio di Gerusalemme non ha confini. E' un invito espresso nell'attesa messianica, poiché a Gerusalemme, per mezzo del Messia, avverrà la ricomposizione dell'unità tra tutti i popoli. I popoli pagani sono invitati a orientarsi al Dio di Israele, al vero Dio, la cui gloria dimora nel tempio di Gerusalemme: “Varcate le sue porte con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode...”. Tutti devono benedire la sua identità, (il suo nome), perché Dio è buono, misericordioso, fedele alla sua parola alle sue promesse.
Nel giorno della Pentecoste veramente si è avverato un andare a Gerusalemme di tanti e tanti, che, non Giudei, avevano abbracciato la religione di Israele (At 2,9s). A questi - i proseliti - vanno aggiunti i timorati di Dio, che non intendevano giungere al rito della circoncisione e alla pratica rituale della legge mosaica (At 10,2).
Noi in Cristo invitiamo i popoli ad accogliere il messaggio di Cristo, a riconoscere il vero Dio e a far parte col battesimo della Chiesa, le cui porte e atri sono aperte all'ingresso di tutti i popoli.
Commento tratto da “Perfetta Letizia»

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, quando noi eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito, Cristo morì per gli empi.
Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe per una persona buona Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.
Rm 5,6-11
99/100
San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme.
La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo parchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita. Nei primi 4 capitoli Paolo ha affrontato la giustificazione che si ottiene mediante la fede e non più attraverso l'osservanza della legge e attraverso la fede e la giustificazione si ottiene la vita. .
In questo brano in particolare Paolo tratta la situazione nuova in cui noi ci troviamo grazie alla morte di Gesù Cristo e alla riconciliazione che Egli ci ha meritato proprio mediante la Sua morte e resurrezione.
Nel versetti precedenti dopo aver elencato una serie di virtù che si realizzavano in coloro che giustificati da Dio dovevano sopportare le avversità, e in particolare che la speranza non delude, perché fondata sull'amore di Dio e anche sullo Spirito Santo, presente nei cuori dei fedeli, prosegue affermando: .
«quando noi eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito, Cristo morì per gli empi».
Paolo ricorda gli elementi principali della nostra salvezza, per assicurare i suoi lettori della solidità della speranza a cui li esorta. Noi eravamo in una situazione di debolezza, in preda al male e al peccato e Cristo è morto per noi, che eravamo indegni, non interessati all'amore di Dio, all'osservanza della Sua legge. Questo è successo nel momento opportuno, cioè nella pienezza dei tempi, nel momento che Dio ha ritenuto più giusto realizzare questa liberazione.
«Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe per una persona buona»
Paolo sottolinea la straordinarietà di questo passo che Cristo ha compiuto in nostro favore. Già è difficile trovare qualcuno che sacrifichi la vita per una persona buona e giusta, figuriamoci se si trova qualcuno che muore per una persona cattiva. Eppure Cristo lo ha fatto!
«Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi».
Paolo ribadisce di nuovo il concetto. La nostra speranza è ben fondata, perché Dio ha dimostrato di amarci di un amore sconfinato attraverso la morte di Suo Figlio.!
«A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui»
Quindi ora possiamo stare sicuri, perché se Cristo ci ha amato così quando eravamo peccatori, certamente il Suo amore e la Sua protezione continueranno ora che siamo pienamente riconciliati con Lui, partecipi del Suo amore. E' il Suo sangue che ci ha resi giusti. Non solo, il Suo sangue è compimento del sangue dell'agnello che gli israeliti avevano cosparso sulle proprie porte, per evitare che l'angelo della morte uccidesse i loro primogeniti, in quella notte in cui riuscirono a fuggire dalla schiavitù d'Egitto. Se allora i credenti erano stati salvati dalla morte dei bambini e dalla schiavitù in Egitto, noi saremo salvati dall'ira del giudizio, per la conseguenza delle nostre colpe.
«Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita».
Paolo ricapitola quanto ha detto nei versetti precedenti. Eravamo nemici, Dio ci ha resi di nuovo amici e alleati, ci ha riconciliati grazie alla morte del Figlio. Egli che ci amava quando eravamo nemici, molto più ci amerà ora e ci donerà la salvezza, non più grazie alla morte del Figlio, ma grazie alla Sua vita, a cui partecipiamo in pienezza. E' questa la nostra condizione.
«Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione».
E' una condizione davvero stupenda quella che ora viviamo, anche se non ne abbiamo nessun merito. Infatti il nostro gloriarci è per mezzo di Gesù Cristo che ci ha meritato questa pace con Dio, la riconciliazione, l'entrata in una vita davvero piena e libera.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità.
I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, Filippo e Bartolomeo, Tommaso e Matteo il pubblicano, Giacomo di Alfeo e Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda l'Iscariota, che poi lo tradì.
Questi sono i Dodici che Gesù inviò ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.
Mt 9,36-10,8

Questo brano segna una tappa importante nello sviluppo della narrazione di Matteo. Gesù dopo aver indicato lo scopo della sua missione (cfr9,13) e dimostrata la Sua autorevolezza (5,7) anche con le Sue opere (8,1-9,34) fa dono di tutto questo a coloro che ha scelto.
Il brano liturgico inizia con la reazione di Gesù davanti alla folla: «vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore» rivolge perciò ai suoi discepoli questa esortazione: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe!».
La logica conseguenza dell’invito a pregare perché Dio mandi altri operai, è la scelta dei Dodici: «Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e d'infermità.»
Questo brano si trova anche in Marco e Luca, ma mentre il primo lo colloca dopo le cinque controversie che formano il nucleo centrale dell’attività di Gesù in Galilea (Mc 3,13-19), Luca lo pone all’inizio del discorso della montagna (cfr. Lc 6,12-16) mentre Matteo lo inserisce nel contesto attuale perché vi vede un’ottima introduzione al discorso missionario.
Per Matteo è importante il numero dodici in quanto questo gruppo di discepoli dovrà costituire il nucleo germinale della comunità messianica, prefigurata dalle dodici tribù d’Israele.
Dopo aver accennato alla missione conferita ai Dodici, l’evangelista dà i loro nomi chiamandoli questa volta con l’appellativo di «dodici apostoli». Il termine «apostolo» significa inviato. Matteo dispone i loro nomi in gruppi di due, quasi a sottolineare il fatto che Gesù li ha inviati in missione due a due (cfr. Mc 6,7):). I primi quattro sono i discepoli della prima ora (cfr. Mt 4,18-22). Rispetto a Marco (3,18), il nome di Andrea è anticipato e fa coppia con quello del fratello Simone. Questi viene designato espressamente come il primo e accanto al suo nome originario viene menzionato quello di Pietro (cfr. Mt 16,18): nel corso del vangelo sarà designato ben ventitré volte con questo nome (di cui tre unito a Simone). Matteo è elencato dopo Tommaso ed è detto «il pubblicano». Taddeo è sostituito in Luca 6,16 (e At 1,13) con Giuda di Giacomo. Per ultimo viene menzionato Giuda l’Iscariota, designato espressamente come il «traditore». Il carattere diverso dei Dodici non è un ostacolo alla missione che è loro affidata ma piuttosto ne costituisce la forza: essi infatti rappresentano il nuovo Israele, nel quale c’è posto per tutti coloro che accettano il messaggio di Gesù, qualunque sia la loro estrazione religiosa, sociale e culturale.
Infine Matteo riporta le direttive date da Gesù ai Dodici: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele.
Le sue istruzioni, riguardano l’ambito della missione e il programma. Nei versetti seguenti, non riportati nel brano, ci sono istruzioni per l’equipaggiamento: Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento. (vv. 9-10);,
Per il metodo missionario In qualunque città o villaggio entriate, fatevi indicare se vi sia qualche persona degna, e lì rimanete fino alla vostra partenza. Entrando nella casa, rivolgetele il saluto. Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. (vv. 11-14)
Infine una parola di condanna per coloro che non accettano gli inviati
In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città.(v. 15).
Questa delimitazione del campo d’azione dei discepoli si trova esclusivamente in Matteo. L’espressione «pecore perdute della casa d’Israele» riprende il tema del popolo d’Israele (cfr. Sal 74,1-2), paragonato ad un gregge di pecore sbandate, in pericolo di perdersi a causa delle loro guide (cf. 9,36; Ez 34; Zc 10,2). Sono esclusi non solo i pagani, ma anche i samaritani. Secondo Mt 15,24 Gesù stesso limitò la sua attività all’ambito del popolo giudaico. Ai giudei infatti erano state affidate le promesse della salvezza e perciò l’annuncio del vangelo era destinato esclusivamente a loro. La guarigione del servo del centurione (Mt 8,5-13) e della figlia della cananea (Mt 15,21-28) sono eccezioni che confermano la regola. Solo dopo la Sua risurrezione l’annunzio sarebbe stato rivolto a tutti (cfr. 28,19). Diverso è il pensiero di Marco, secondo il quale Gesù, avendo portato a termine la missione ai giudei, ha spezzato il pane della salvezza anche ai pagani (cfr. Mc 8,1-9).
Il programma missionario dei Dodici corrisponde esattamente a quello di Gesù: «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Queste istruzioni sono parallele a quelle riportate altrove da Luca (cfr. Lc 9,2; 10,9). Anche i Dodici devono annunciare l’avvicinarsi del regno di Dio, come aveva fatto il Battista e lo stesso Gesù (cfr. Mt 3,2; 4,17). Inoltre devono curare gli infermi, mondare i lebbrosi, scacciare i demoni. Le guarigioni rappresentavano un segno dell’avvento del regno e al tempo stesso ne chiarivano il significato (cfr. Is 35,5-6). Matteo accentua il compito taumaturgico dei discepoli in quanto riferisce che è loro conferito il potere non solo di scacciare i demoni, ma anche di compiere prodigi ancora più grandi, come la guarigione dei lebbrosi e la risurrezione di morti. La loro opera però dovrà essere totalmente gratuita: quello che hanno ricevuto gratuitamente, devono darlo altrettanto gratuitamente.
L’attività dei Dodici ha ancora una cerchia ristretta: come Gesù così anch’essi devono limitarsi ai loro connazionali. Questa rigida delimitazione del loro campo d’azione corrisponde all’intuizione originaria secondo cui le promesse contenute nelle Scritture erano rivolte al popolo di Israele. Gesù si presentava dunque come un riformatore religioso del Suo popolo, il cui scopo era quello di prepararlo all’evento finale della salvezza. Solo in un secondo tempo le altre nazioni si sarebbero aggregate all’Israele escatologico. Sia la predicazione di Gesù come quella dei primi discepoli non aveva dunque lo scopo di suscitare l’adesione a una nuova formazione religiosa. In seguito alla morte di Gesù le cose cambiano progressivamente: la resistenza opposta dalle istituzioni giudaiche, in patria e nella diaspora, alla predicazione messianica spingono i primi cristiani a formare comunità separate, aperte ai pagani. Questo nuovo orientamento sarà visto come espressione di un progetto divino in forza del quale la salvezza portata da Gesù è offerta a tutti.

*****
“La pagina evangelica del Vangelo di Luca presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32). Così questo invio prefigura la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti. A quei discepoli Gesù dice: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!»
Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Sempre dobbiamo pregare il “padrone della messe”, cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo. E ciascuno di noi lo deve fare con cuore aperto, con un atteggiamento missionario; la nostra preghiera non dev’essere limitata solo ai nostri bisogni, alle nostre necessità: una preghiera è veramente cristiana se ha anche una dimensione universale.
Nell’inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima – abbiamo già visto –: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca…; dite: “Pace a questa casa”…restate in quella casa…Non passate da una casa all’altra; guarite i malati e dite loro: “è vicino a voi il Regno di Dio”; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi (cfr vv. 2-10). Questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera; che è itinerante: non è ferma, è itinerante; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio; che non è proselitismo ma annuncio e testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni.
Se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia. E come finisce questo passo? «I settantadue tornarono pieni di gioia» (v. 17). Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che – dice Gesù – «i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Con questa espressione Egli intende la gioia interiore, la gioia indistruttibile che nasce dalla consapevolezza di essere chiamati da Dio a seguire il suo Figlio. Cioè la gioia di essere suoi discepoli. Oggi, per esempio, ognuno di noi, qui in Piazza, può pensare al nome che ha ricevuto nel giorno del Battesimo: quel nome è “scritto nei cieli”, nel cuore di Dio Padre. Ed è la gioia di questo dono che fa di ogni discepolo un missionario, uno che cammina in compagnia del Signore Gesù, che impara da Lui a spendersi senza riserve per gli altri, libero da sé stesso e dai propri averi.
Invochiamo insieme la materna protezione di Maria Santissima, perché sostenga in ogni luogo la missione dei discepoli di Cristo; la missione di annunciare a tutti che Dio ci ama, ci vuole salvare e ci chiama a far parte del suo Regno.”

Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 7 luglio 2019

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

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