D. Visitare i carcerati è un’opera di misericordia difficile. Come si fa?
R. Per un cittadino privato non è facile. Perché, se non è un parente, è il detenuto che chiede il colloquio e, questo è autorizzato solo se, dopo un’accurata indagine dei Carabinieri sul vissuto della persona invitata, il giudizio è positivo. Esiste però un’associazione di volontariato i cui componenti, dopo avere frequentato un corso di preparazione, possono accedere e lavorare in gruppo coordinati dallo stesso cappellano.
D. Chi sono i carcerati e come vivono?
R. Le persone che si incontrano in questo contesto stanno scrivendo l’ultimo tra i tanti capitoli difficili della loro vita. La carcerazione è un evento che sta dopo la famiglia dissestata, rapporti pesanti e situazioni economiche difficili. Da un punto di vista pastorale bisogna essere presenti senza avere un atteggiamento di chi vuol redimere, ma stare vicino e fare un tratto di strada insieme, con molta serenità ma, soprattutto, facendo “respirare” il Cristo che si porta loro, che li accompagna e che, pian piano, bisogna far venire fuori. Nelle carceri vi sono varie situazioni, l’età media è tra i 18 ed i 35 anni, la maggior parte dei detenuti di Regina Coeli è straniera. L’80% di loro non ha parenti quindi vive questa esperienza detentiva senza un’adeguata copertura affettiva e materiale. Vuol dire che mancano di tutto.
D. In carcere c’è pentimento, fede, redenzione, senso di colpa?
R. La privazione della libertà, spesso avvenuta in modo improvviso, senza che si possa metabolizzare l’accaduto, porta la persona a perdere ogni umana sicurezza. Nella solitudine nasce una “rilettura” della propria vita e, quasi sempre un ritorno alla religione. In carcere si valorizza un po’ l’aspetto religioso: tutti i ragazzi portano al collo la corona del Rosario. Per qualcuno è una cosa seria e rimarrà, per altri è solo un passaggio, ma nessuno può giudicare, solo rispettare.
Il senso di colpa è una sfumatura dell’anima, ma questa sensibilità non la si può trovare lungo la strada, è una conquista, un processo di maturazione. Bisogna ritrovare la propria dignità per poter riconoscere quella dell’altro ed usarle rispetto. In genere, specie nei casi di omicidio, si ha una parabola di questo tipo: si entra e si è incoscienti, dopo tre o quattro mesi c’è una presa di coscienza di ciò che si è fatto ed è un momento terribile! Si teme sempre una reazione di autodistruzione se non si innesca un processo di “inversione” di fronte all’errore compiuto. “Ho tolto la vita, servo la vita” nel positivo e la persona si prodiga per aiutare gli altri. A volte nelle confessioni ascolto detenuti, pentiti, che pregano per la persona che hanno ucciso.
D. Come hanno vissuto i detenuti l’Anno della Misericordia?
R. Da noi a Regina Coeli, i catechisti, in precedenza hanno spiegato il significato del Giubileo poi allestito una cappella ad hoc. In giorni stabiliti ci sono i Sacerdoti per le confessioni e, secondo turni programmati i detenuti passano la “nostra Porta Santa” e si celebra la Messa. La partecipazione a queste liturgie è soddisfacente e sono seguite anche da detenuti di religione ortodossa.
D. Cosa possiamo fare noi laici per aiutare i carcerati?
R. Oltre al pregare per loro, raccogliere beni di prima necessità e portarli direttamente a noi associazione di volontari. Poi, aiutare l’ex detenuto a superare i muri di pregiudizi che la nostra società “per bene” gli ha costruito intorno al punto da condizionarne il pieno reintegro.
A La Salette ho conosciuto Padre Julio Fernando Altamiranda, Missionario Salettino delegato della provincia Argentina-Bolivia che, tra le sue numerose attività è anche cappellano del penitenziario femminile di Las Termas de Rìo Hondo, in provincia di Santiago del Estero, Argentina, che gentilmente mi ha ascoltato. A lui ho fatto più o meno le stesse domande.
Nel carcere dove opera sono recluse 29 donne, con età media di 30 anni, tutte argentine, di cui 8 con la condanna a vita. Sono persone che hanno commesso gravi reati come ad esempio l’aver sacrificato vite umane durante riti pagani o pseudo satanici. Padre Fernando mi ha detto che solo con la preghiera è riuscito a superare la difficoltà che aveva nell’avvicinarle, perché vedeva nella persona il peccato commesso ed ha vinto questa repulsione solo quando letteralmente “si è sentito predisposto a vedere Cristo nell’altra”: quelle carcerate necessitavano dell’amore di Dio che, lui solo, in quanto Sacerdote, poteva portare loro. Padre Fernando, logicamente, conosce la storia di ciascuna, ma solo poche si confidano con lui. Il suo impegno maggiore, non è tanto il far capire loro che Dio le ama, quanto l’aiutarle ad amare Dio, cariche del peso della loro storia. Guidarle fino all’accettazione di sé, del proprio vissuto e della situazione presente per riuscire a dire a se stesse “Dio mi ama, ma anche io riesco ad amare Dio.” Percorso commovente, decisamente in salita, lungo e faticoso. Ma questo è Misericordia. Padre Fernando non ha una cappella, ha una specie di box con una Croce e la statua della Madonna de La Salette. Può andare una volta la settimana, per tre ore e celebra la Messa solo in occasione del Natale e della Pasqua. Non tutte le detenute hanno una fede e, per tanto non cercano nemmeno Dio perché non ne sentono la necessità; altre soltanto perché si sentono sole. In carcere possono ricevere visite ogni settimana, ma alcune ricevono solo telefonate dai parenti rare volte l’anno.
Purtroppo in carcere vige la legge del più forte, si formano gruppi di “amiche” che, seguono la leader e spesso litigano con altri gruppi. Questi alterchi quasi sempre verbali, certo, non aiutano la pacifica convivenza. Nel penitenziario le detenute fanno dei lavori artigianali, che vengono venduti ed il ricavato, gestito dalla direttrice, usato per comprare cose di prima necessità. Vi è anche una scuola per la prima alfabetizzazione e la promozione umana. Ho chiesto a Padre Fernando se ha aiuti da laici volontari e mi ha risposto che alcuni sono andati per due o tre volte ma poi hanno… desistito. Quando guardiamo l’immagine della Madonna de La Salette, che ha al collo un grossa catena, pensiamo ai carcerati, alle loro famiglie, alle loro sofferenze e preghiamo la Vergine che li conforti, che dia loro speranza e li aiuti a reinserirsi nella società, ed insegni a noi ad accettarli, rispettarli e ad amarli come fratelli sull’esempio che continuamente ci dà Papa Francesco. Anche questo è Misericordia.
Laici Salettini
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