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Lug 21, 2017

Visitare gli infermi

E’ luogo comune catalogare in quattro rapporti fondamentali le difficoltà che condizionano la vita dell’uomo:
- rapporto con se stessi, con il proprio corpo che, quando si “complica” diventa, per motivi fisici o psichici, in senso lato, malattia;
- rapporto con le cose, con la società e con i beni materiali che, anche se per cause accidentali, può “peggiorare” e diventare povertà;
- rapporto con Dio e con il prossimo che, se si” interrompe” diventa peccato;
- rapporto con la natura che quando “degenera” diventa causa di catastrofi, carestie, desertificazioni, inquinamenti… che hanno come conseguenze malattie, povertà e ribellioni.

Malati, poveri e peccatori sono le tre categorie di persone predilette da Gesù. Lo dice espressamente rispondendo ai discepoli del Battista: «Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il Vangelo.» (Mt 11,4-5)

Dio non ha creato la malattia ma essa è entrata nel mondo in conseguenza del peccato originale e, prima o poi, tocca tutti. La scienza ha tentato e tenta di curarla e, per alcune patologie, vi è anche riuscita ma non è mai riuscita a dare una spiegazione ed un senso al dolore ed alla sofferenza. Nemmeno Gesù, Dio diventato uomo, ha spiegato il dolore, anzi, lo ha vissuto fino alla drammaticità della morte.

Gesù però si prodiga in tutti i modi per alleviare la sofferenza e lo dimostrano i numerosi miracoli di guarigione narrati dai Vangeli. Gesù si avvicina ai malati, parla con loro, li tocca, non teme né il contagio né l’impurità e soprattutto non li esorta alla pazienza e alla rassegnazione ma “agisce” subito, come con il Centurione al quale dice: «Verrò e lo guarirò.» (Mt 8,7)
Gesù poi considera il malato una persona nella sua totalità infatti non solo lo risana ma gli perdona i peccati: è medico del corpo e dello spirito.

I MALATI E GESU’

Istintivamente chi è ammalato chiede aiuto e, quasi sempre anche a Dio cioè “prega.” Chiedere è fondamentale ma ottenere non viene di conseguenza. Chiedere non pretendere. Il lebbroso in ginocchio grida: «Signore se vuoi puoi sanarmi» (Mt 8,1), un’autentica professione di fede ed il Signore lo purifica. Anche al cieco Bartimeo che gridando lo chiama Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» e gli ridona la vista e questo succede per tanti altri malati. Gesù, però, guarisce anche chi non glielo chiede come, per esempio l’uomo dalla mano paralizzata, e salva l’adultera condannata alla lapidazione che, probabilmente, non ha nemmeno la fede.

Chissà quante volte siamo stati “guariti e salvati” senza saperlo! La Vergine a La Salette ce lo spiega dicendo: «Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, mi è stato affidato il compito di pregare continuamente per voi; e voi non ci fate caso». Come una Mamma che ama i propri figli, Maria prega per noi, prega al posto nostro, prega quando noi non lo facciamo. Noi nemmeno ci rendiamo conto delle continue grazie che riceviamo, né tanto meno ringraziamo, anzi molte volte protestiamo ritenendo “tutto” sempre troppo poco.

L’Apostolo Giacomo scrive «Chi è malato chiami presso di sé i presbiteri della Chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo salverà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati». (Gc 5, 14-15).

La tradizione ha riconosciuto in questo rito il sacramento della “Unzione degli Infermi” che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce “un dono particolare dello Spirito Santo… per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave… rinnova la fede in Dio… ed il malato riceve la forza ed il dono di unirsi più intimamente alla passione di Cristo.” (CCC 1520-1523).

La Chiesa sull’esempio di Gesù si è sempre prodigata per “curare gli infermi” e lo dimostrano i numerosi ordini religiosi, sia maschili che femminili sorti con questo preciso carisma. Di grande valore sono anche le associazioni di volontariato ed i movimenti laicali impegnati nell’assistere i malati, gli anziani ed i disabili anche nelle case di riposo e a domicilio.

Un particolare servizio svolgono i “Ministri Straordinari della Comunione” che “a quanti sono impediti di partecipare alla celebrazione eucaristica portano… il conforto della Comunione… perché possano sentirsi uniti alla comunità stessa e sostenuti dall’amore dei fratelli.” (cfr. Costituzione Sacrosanctum Concilium).

 

VISITARE GLI INFERMI2

Visitare gli infermi è forse l’opera di misericordia più osservata: infatti tutti noi siamo andati a visitare un parente o un amico malato. Non si va volentieri in ospedale al capezzale di chi soffre. Forse abbiamo anche tergiversato nascondendoci sotto banali scuse quali: lo disturberò? Gli farò piacere? e così via. Tutte giustificazioni alla nostra insicurezza ed al nostro imbarazzo.

Domandiamoci allora con quale spirito andiamo a visitare chi è malato: adempiamo ad un dovere gravoso e, magari di mala voglia o andiamo certi di trovare in quel letto un “Gesù sofferente”?

Visitare non vuol dire dare un’occhiata, scambiare quattro chiacchiere ma farsi presente concretamente: vuol dire farlo sentire amato in modo esclusivo.

Non esiste un manuale d’uso per chi visita un malato, anche se c’è chi parla della” delicata arte” ma, alcune attenzioni bisogna averle. E’ superfluo ricordare che attorno al malato c’è quasi sempre una famiglia che lo assiste e condivide le sue sofferenze ed ansie; per tutti il messaggio che porta il visitatore è di speranza e misericordia. Per il grande rispetto che si deve al malato, soprattutto se è grave, è inutile ingannarlo dicendogli che presto si rimetterà. Giobbe definisce le persone che vogliono essere positive a tutti i costi “consolatori stucchevoli” (Gb 16,2) e “raffazzatori di menzogne” (Gb 13,4). Come non è conveniente ricordargli che c’è anche chi sta peggio di lui. Soprattutto è importante non deludere chi è ricoverato, per esempio nelle case di riposo, se gli si annuncia una visita bisogna mantenere la promessa per non farlo sentire poco importante o addirittura dimenticato; ancora peggio improvvisandosi medico commentare le terapie, l’assistenza ecc. Fondamentale è creare attorno al malato un clima di serenità e distensione, ma questo non vuol dire farlo ridere a tutti i costi; come è altrettanto importante capire quando è il momento di lasciarlo solo. Queste annotazioni possono sembrare ovvie ma purtroppo rispecchiano una effettiva casistica.

Aiutare ad accettare la realtà è anche essere capaci di piangere insieme e testimoniare la propria fiducia nella volontà della Divina Provvidenza.

Al capezzale di un malato il tempo non conta, non c’è misura nel dare, l’unica ricompensa è la certezza che Dio ci ama perché “Lo abbiamo visto” in quella persona sofferente e ci dirà: “Ero malato e mi hai visitato” (Mt 25,36).


Laici Salettini

 

 

 

 

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