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Henryk

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La III domenica di Avvento è la domenica chiamata “Gaudete”, cioè “rallegrativi” e la liturgia ci invita ad attendere con fede e gioia la venuta del Signore

Nella prima lettura, il profeta Isaia, indica al popolo di Israele la fonte della vera gioia nell’intervento di Dio, che lo ricondurrà in patria dopo il lungo esilio. Il profeta sintetizza questo evento con la frase finale del brano: felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

Nella seconda lettura, l’apostolo Giacomo, nell’attesa della venuta del Signore, invita anche noi oggi ad operare con coraggio nella pazienza, nella sincerità e nella costanza.

Il Vangelo di Matteo, ci riporta il dialogo a distanza tra Gesù e Giovanni Battista che nei suoi dubbi è sempre alla ricerca della verità. Gesù capisce le perplessità di Giovanni e tiene a rassicurarlo dicendogli di confrontare le opere che sta compiendo con le Scritture. Poi Gesù loda Giovanni e lo chiama beato, dicendo che tra i nati da donna non ce n'è uno più grande di lui nella ricerca di Dio, ma nel Regno dei cieli, il più piccolo è più grande di Giovanni, perché gode già del frutto di questa ricerca. Giovanni Battista indica a tutti noi le caratteristiche del cammino cristiano: nel dubbio, non fermarsi mai perchè il cammino della ricerca della verità su questa terra non conosce limiti.

Dal libro del profeta Isaia

Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.

Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo.

Le è data la gloria del Libano,lo splendore del Carmelo e di Saron.

Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.

Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti.

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete!

Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta,la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.

Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto.

Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa.

Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo;

felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno

e fuggiranno tristezza e pianto.

Is 35,1-6.8.10.

Questo brano, tratto da una raccolta di oracoli chiamata “piccola apocalisse”, contiene il secondo oracolo di Isaia ed inizia con un invito rivolto da Dio, per bocca del profeta:

“Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa.

Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo.”

Questi versetti li ha ripresi anche il Deuteroisaia per esultare per l’abbondanza di acqua nel deserto e nella terra, un tempo arida e senza vegetazione (Is 41,18).

L’esultanza del deserto si manifesta attraverso la nascita improvvisa di fiori insoliti in quella regione. Il deserto di cui si parla è quello che separa la Mesopotamia dalla Palestina: attraverso di esso gli esuli ritornano nella loro terra. Il rifiorire del deserto è un’immagine che viene usata non soltanto per indicare la facilità con cui il deserto viene percorso dagli esuli, ma anche per evidenziare la trasformazione interiore degli esuli, che prendono coscienza di sé e della propria realtà di popolo.

All’invito corrisponde una promessa:

Le è data la gloria del Libano,lo splendore del Carmelo e di Saron.

Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio.

Il deserto sarà reso simile alle regioni più note per la loro fertilità e vegetazione, e la promessa più grande consiste nel vedere la gloria di Dio.

La venuta del Signore viene nuovamente annunziata con un invito:

Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti.

Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta,

la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».

Il messaggio chiaramente è rivolto agli esuli che si sono messi in cammino. Essi sono ancora infiacchiti dal lungo periodo di esilio, non hanno fiducia in se stessi, e soprattutto non hanno la sicurezza di poter riuscire nella loro impresa. Vengono perciò incoraggiati con la promessa della presenza del Signore che li guida come aveva fatto un tempo con gli israeliti durante l’esodo dall’Egitto. Egli porta con sé oltre alla salvezza, riservata al Suo popolo, anche il castigo per i loro nemici che sono anche i Suoi nemici. La ricompensa divina non consiste in un premio guadagnato con le proprie opere buone, ma nella salvezza donata gratuitamente da Dio al Suo popolo.

Alla venuta del Signore corrisponde la guarigione di persone afflitte da diverse infermità :

“Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.

Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto”.

Gli esuli che si mettono in cammino sono paragonati a persone afflitte da mali che impediscono loro la possibilità stessa di fare un lungo cammino a piedi. Nonostante la loro inabilità, essi si mettono in cammino senza difficoltà per raggiungere la meta.

Dopo viene annunziata la creazione di una grande strada:

“Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa”.

Dopo un ulteriore accenno alla trasformazione del deserto vengono descritti coloro che camminano nella grande strada:

“Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.”

Coloro che si mettono in cammino vengono chiamati i “riscattati”, in quanto sono considerati come schiavi per la cui liberazione Dio stesso simbolicamente ha pagato un prezzo.

Il profeta sintetizza questa “risurrezione” nella frase finale: felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

L’immagine del deserto che rifiorisce al passaggio degli esuli dà l’idea di un rinnovamento che, partendo dal cuore umano, si estende a tutto il creato. I giudei esuli in Babilonia hanno visto nel loro ritorno nella terra dei loro padri un dono meraviglioso di Dio, che ha dato compimento alle Sue promesse.

La storia ci dice che in realtà il ritorno dall’esilio ha deluso in parte le attese dei rimpatriati, i quali si sono trovati di nuovo immersi nei problemi di sempre. Inoltre essi erano portati tendenzialmente a chiudersi in se stessi, difendendosi dalle influenze esterne e così sono stati costretti a proiettare in un futuro ipotetico quella felicità che avevano atteso per la fine dell’esilio.

Hanno dovuto capire a loro spese che il regno di Dio non è una realtà che si attua nella storia, ma una meta a cui tendere, mantenendo vivi i valori in cui si crede e cercando continuamente di concretizzarli nell’oggi.

Salmo 145 Vieni, Signore, a salvarci.

Il Signore rimane fedele per sempre

rende giustizia agli oppressi,

dà il pane agli affamati.

Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,

il Signore rialza chi è caduto,

il Signore ama i giusti,

il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,

ma sconvolge le vie dei malvagi.

Il Signore regna per sempre,

il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Questo salmo è stato composto nel tardo postesilio e fa pensare a un tempo di pace, di normalità, quale si ebbe verso la fine dell'epoca persiana quando Giuda divenne uno stato teocratico autonomo con propria moneta fino alla persecuzione di Antioco IV Epifane (2Mac 4,1s).

Il salmista allo scopo di rendere testimonianza e di lodare il Signore per tutta la vita, fa seguire un'ammonizione basilare: Il Signore rimane fedele per sempre ossia mai manca alla sua parola, e il suo governo è giustizia e bontà: rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati.

Poi il salmista con ritmo incalzante presenta tutti i motivi di confidenza in Dio.

“Libera i prigionieri”; intendendo ciò in senso largo: deportati, carcerati ingiustamente, irretiti in trame di calunnia.

“Ridona la vista ai ciechi”, dove il cieco è colui che ha smarrito la via della verità

“Rialza chi è caduto”, cioè chi è caduto nel peccato.

“Ama i giusti”, cioè li guida nel giusto cammino e protegge nei loro passi.

“Protegge i forestieri, egli sostiene l'orfano e la vedova”, cioè tre categorie di persone deboli, con scarsi punti di riferimento.

Poi segue una severa osservazione: “Ma sconvolge le vie dei malvagi”.

Il Signore è re, “regna per sempre”. Nessuno lo può contrastare, limitare il suo potere sovrano, nessuno può sperare di vincerlo; e il suo regnare è segnato dalla giustizia, dalla bontà e dalla misericordia.

“Il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione”; Dio ha fatto alleanza con Sion, ma l'alleanza è diventata nuova in Cristo; Sion ha rifiutato la nuova ed eterna alleanza, ma Cristo non rinuncia al popolo di Sion, ora tronco morto dell'unico popolo di Dio, il cui tronco vivo è la Chiesa, ma un giorno il tronco morto diventerà vivo, accogliendo Cristo e facendo parte della Chiesa (Rm 11,25).

Commento tratto da “Il cantico dei cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Giacomo apostolo

Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.

Gc 5,7-10

La lettera di Giacomo, che la tradizione cristiana attribuisce a Giacomo il minore figlio di Alfeo, fratello del Signore, sarà sempre citata per la sua attenzione ai deboli, e agli afflitti, il suo senso della povertà e la sua diffidenza per la ricchezza, la sua viva denuncia dell’ingiustizia sociale, i suoi avvertimenti agli operatori commerciali. Giacomo detenne un posto di primo piano nella comunità di Gerusalemme, e Paolo lo cita fra i testimoni della risurrezione. Prese parte al Concilio di Gerusalemme in maniera determinante e nonostante la sua mentalità prettamente giudaica, dà prova di conciliazione e di accoglienza nei riguardi dei convertiti provenienti dal paganesimo (At15,13-29).

Se la lettera quindi è di questo Giacomo, si può datare attorno all’anno 60, anche se influenze ellenistiche e l’affinità con scritti cristiani più tardivi, non rendono certa questa datazione.

La lettera è rivolta alle dodici tribù disperse nel mondo ed è una maniera per dire che è indirizzata alla Chiesa sparsa nel mondo, al vero Israele. Infatti il termine “dispersione”, in greco “diàspora ”, designava l’insieme dei giudei soggiornanti fuori della Palestina. Si tratta quindi di cristiani di origine giudaica, dispersi nel mondo greco-romano.

Il brano inizia con un invito alla costanza: “Siate costanti, fratelli miei, fino alla venuta del Signore”. Questo invito ha come sfondo la crisi determinata dal ritardo della parusia. Dopo la prima generazione cristiana, che riteneva imminente la venuta del Signore Gesù, i cristiani si rassegnano poco per volta all’idea che il Signore non ritornerà in tempi brevi come loro si erano immaginati. Per dare valore alla sua esortazione, Giacomo porta un esempio: “Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge”. L’agricoltore non sa quando verranno le piogge, necessarie perché la terra produca i suoi frutti preziosi, ma aspetta senza scoraggiarsi, sapendo che al momento giusto esse non mancheranno. Da questo esempio Giacomo trae un motivo per dire: “Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina”.. Nonostante tutto, Giacomo continua a ritenere che la venuta del Signore sia vicina.

Questa convinzione deve quindi infondere coraggio perchè non si tratta di un’attesa inoperosa, ma di un impegno costante per superare le prove e mettere a frutto la propria fede.

Poi continua dicendo: Non lamentatevi, fratelli, gli uni degli altri, per non essere giudicati; ecco, il giudice è alle porte. Il fatto che il ritorno del Signore non sia imminente non deve essere però un motivo per lamentarsi gli uni degli altri, cioè per scaricare sull’altro il proprio malessere.

Giacomo sottolinea ancora che Gesù ritornerà come giudice, e allora chi avrà giudicato gli altri sarà lui stesso sottoposto al Suo giudizio. Ciò che sta a cuore a Giacomo è un’autentica vita comunitaria, che consista nella sopportazione vicendevole che è il frutto più importante dell’amore. Perché ciò avvenga l’apostolo propone come modello i profeti: “Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore”.

Proprio perché erano investiti di una missione a favore di tutto il popolo, i profeti sono stati perseguitati, ma hanno accettato con pazienza tutte le sofferenze a loro inflitte. Anche per i cristiani, che hanno ricevuto una missione analoga a quella dei profeti, la pazienza nei confronti delle prove, da qualsiasi parte giungano, è un atteggiamento fondamentale per prepararsi al ritorno di Gesù.

Pur affermando che il ritorno di Gesù è vicino, Giacomo mette in guardia facendo comprendere che esso può essere ancora molto lontano nel tempo. Egli perciò consiglia soprattutto la pazienza, che consiste nella capacità di fare fronte ai rischi di un’attesa prolungata. La pazienza consiste per lui nel restare saldi nella fede e di impegnarsi pienamente in una vita comunitaria, in cui tutti si accettano e si rispettano.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? «Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:

“Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,

davanti a te egli preparerà la tua via”.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Mt 11, 2-11

In questo brano l’evangelista Matteo ci presenta Giovanni in carcere che ha notizie sull'attività di Gesù. Egli è sorpreso di vedere realizzarsi un tipo di Messia così differente da quello che egli attendeva. La domanda che lui si pone (sarà davvero lui il Messia?) rispecchia il suo dubbio e l’ora cupa che sta passando. Ogni credente riconoscerà in questo atteggiamento l’oscura tenebra che anche altri santi hanno passato e passeranno: fede e ragione devono camminare insieme per conoscere sempre più e meglio Colui al quale si è detto “sì”, per poterlo conoscere e amare più intensamente.

Gesù nel compiere la Sua missione non corrisponde ai connotati del Messia che Giovanni aveva in mente e annunziato: colui che esercita il terribile giudizio di Dio, colui che tiene in mano la "scure" e il "ventilabro" per fare piazza pulita di quanti operano il male. Gesù infatti impiega il suo tempo nell'accogliere i peccatori e nel soccorrere gli ultimi, i malati, i poveri. Giovanni in un momento di vera crisi o comunque di dubbio profondo (che lo rende molto umano, vicino a noi) decide di interpellare Gesù stesso attraverso i suoi discepoli: " Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù nel rispondere ai suoi inviati indica la via : si confrontino le sue opere con le Scritture, e, citando gli oracoli di Isaia, mostra che le sue opere inagurano veramente l’era messianica, ma sotto forma di benefici di salvezza e non di forza e di castigo. Termina poi la sua risposta dicendo "E beato colui che non si scandalizza di me", cioè non trova nel mio comportamento un ostacolo a credere. In altre parole, Gesù non si presenta come il "forte" che scatena contro i peccatori la collera di Dio, ma è la rivelazione della Sua misericordia verso i poveri, i sofferenti, i lontani. Giovanni perciò sarà beato se accetta Gesù, anche se non risponde alle sue attese che sconvolgono i suoi schemi, se si fida di Lui, insomma se si converte a Gesù, se crede in Lui.

Poi Gesù, quando gli inviati si allontanano per portare a Giovanni la risposta, fa l’elogio del Battista, ma applicando a lui il detto di Malachia “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”, dichiarando non solo che Giovanni è il Suo precursore, ma anche che Egli stesso è il Messia, e poi termina dicendo: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”. Ossia la grandezza di Giovanni sta prima nel fatto di essere precursore del Messia, ma anche di aver continuato a cercare la Verità, anche dopo aver conosciuto in Gesù il Cristo. E Gesù quando afferma che nel Regno dei cieli il più piccolo è più grande di Giovanni, è perché chi è nel Regno dei cieli gode già del frutto di questa ricerca.

Si adatta al Battista l’intercessione del salterio: “A quanti cercano la verità, concedi Signore la gioia di trovarla, e il desiderio di cercarla ancora, dopo averla trovata.”

…Oggi è la terza domenica di Avvento, detta anche domenica Gaudete, cioè domenica della gioia. Nella liturgia risuona più volte l’invito a gioire, a rallegrarsi, perché? Perché il Signore è vicino. Il Natale è vicino. Il messaggio cristiano si chiama “evangelo”, cioè “buona notizia”, un annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia! E coloro che sono tristi trovano in essa la gioia, trovano in essa la vera gioia!

Ma quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci ricorda oggi il profeta Isaia Dio è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida. E quando diventa arida la nostra vita? Quando è senza l’acqua della Parola di Dio e del suo Spirito d’amore. Per quanto siano grandi i nostri limiti e i nostri smarrimenti, non ci è consentito essere fiacchi e vacillanti di fronte alle difficoltà e alle nostre stesse debolezze. Al contrario, siamo invitati ad irrobustire le mani, a rendere salde le ginocchia, ad avere coraggio e non temere, perché il nostro Dio ci mostra sempre la grandezza della sua misericordia. Lui ci dà la forza per andare avanti. Lui è sempre con noi per aiutarci ad andare avanti. E’ un Dio che ci vuole tanto bene, ci ama e per questo è con noi, per aiutarci, per irrobustirci e andare avanti. Coraggio! Sempre avanti! Grazie al suo aiuto noi possiamo sempre ricominciare da capo. Come? Ricominciare da capo? Qualcuno può dirmi: “No, Padre, io ne ho fatte tante… Sono un gran peccatore, una grande peccatrice… Io non posso rincominciare da capo!”. Sbagli! Tu puoi ricominciare da capo! Perché? Perché Lui ti aspetta, Lui è vicino a te, Lui ti ama, Lui è misericordioso, Lui ti perdona, Lui ti dà la forza di ricominciare da capo! A tutti! Allora siamo capaci di riaprire gli occhi, di superare tristezza e pianto e intonare un canto nuovo. E questa gioia vera rimane anche nella prova, anche nella sofferenza, perché non è una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui.

La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nella certezza che Lui mantiene sempre le sue promesse. Il profeta Isaia esorta coloro che hanno smarrito la strada e sono nello sconforto a fare affidamento sulla fedeltà del Signore, perché la sua salvezza non tarderà ad irrompere nella loro vita.

Quanti hanno incontrato Gesù lungo il cammino, sperimentano nel cuore una serenità e una gioia di cui niente e nessuno potrà privarli. La nostra gioia è Gesù Cristo, il suo amore fedele inesauribile! Perciò, quando un cristiano diventa triste, vuol dire che si è allontanato da Gesù. Ma allora non bisogna lasciarlo solo! Dobbiamo pregare per lui, e fargli sentire il calore della comunità.

La Vergine Maria ci aiuti ad affrettare il passo verso Betlemme, per incontrare il Bambino che è nato per noi, per la salvezza e la gioia di tutti gli uomini. A lei l’Angelo disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Lei ci ottenga di vivere la gioia del Vangelo in famiglia, al lavoro, in parrocchia e in ogni ambiente. Una gioia intima, fatta di meraviglia e di tenerezza. Quella che prova una mamma quando guarda il suo bambino appena nato, e sente che è un dono di Dio, un miracolo di cui solo ringraziare!

Papa Francesco

Parte dell’Angelus del 15 dicembre 2013

Celebriamo oggi la solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria, il cui dogma fu promulgato da Pio IX nel 1854, ma già nel IX secolo si celebrava in Inghilterra e Normandia una festa della Concezione di Maria e il Concilio di Basilea (1439) sancì questo evento come verità di fede. Si afferma che Maria è nata senza colpa originale, concepita senza peccato: colei che doveva dare alla luce il Figlio di Dio fu preservata da ogni macchia di peccato per essere la degna dimora di Gesù.

Celebrare l’Immacolata Concezione nel tempo di Avvento è quanto mai rilevante perchè ci prepara a rivivere il “mistero della Redenzione” in avvenimenti dove la grazia fa irruzione in modo sovrabbondante sull’umanità.

Nella prima lettura, tratta dal libro della Genesi al primo peccato, dovuto alla disobbedienza di Adamo ed Eva, Dio non rimane indifferente e nella pienezza dei tempi manda la nuova Eva, Maria, che schiaccerà la testa al serpente.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini, possiamo comprendere che ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo. E’ un dono e una chiamata che ci proietta nella meravigliosa avventura della costruzione prima di noi stessi e poi del mondo, secondo il progetto di Dio e quindi nella direzione dell’amore che non conosce tramonto.

Nel Vangelo di Luca troviamo il racconto dell’annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria, che obbedì totalmente all’annunzio della sua maternità divina. In questa giornata che celebra la sua concezione, e quindi tutta la sua esistenza immacolata e gradita a Dio, la liturgia ci conduce nelle viuzze di questa cittadina della Galilea, alla ricerca delle tracce di Maria e di quel grande giorno in cui ha pronunciato il suo sì e nella onniscienza di Dio tutti noi eravamo presenti.

Dal Libro della Genesi

Dopo che l'uomo ebbe mangiato del frutto dell'albero, il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente:

«Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici!

Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita.

Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe:

questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno».

L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Gen 3,9-15.20

Il Libro della Genesi (che significa: "nascita", "creazione", "origine"), è il primo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana. E’ stato scritto in ebraico, e secondo molti studiosi, la sua redazione definitiva, ad opera di autori ignoti, è collocata intorno al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte.

Nei primi 11 dei suoi 50 capitoli, descrive la cosiddetta "preistoria biblica" (creazione, peccato originale, diluvio universale), e nei rimanenti la storia dei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe-Israele e di Giuseppe, le cui vite si collocano nel vicino oriente (soprattutto in Palestina) del II millennio a.C. (la datazione dei patriarchi, tradizionale ma ipotetica, è attorno al 1800-1700).

Il libro della Genesi è suddiviso in due grandi sezioni. La prima, corrispondente ai capitoli 1-11, comprende il racconto della creazione e la storia del genere umano. La seconda sezione, dal capitolo 12 al capitolo 50, narra la storia del popolo eletto, mediante i racconti sui patriarchi.

Questo brano tratto dal Capitolo 3 descrive la convinzione d’Israele che la condizione umana (quale appariva allora) fosse una partecipazione alla punizione meritata dalla prima trasgressione. L'autore di questo testo sacro, descrive il processo per la ricerca del colpevole per il primo peccato commesso dall'umanità e la conseguente condanna, lasciando trasparire che non tutto è perduto, e questo lo si percepisce dalle parole che il Signore dice al serpente: “Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”, per cui se la discendenza della donna verrà ferita al calcagno, le forze del male avranno la testa schiacciata dal suo piede.

Tale annuncio di vittoria sul male viene riconosciuto nel concetto di Immacolata Concezione che fa di Maria la prima redenta.

Con l'esenzione di Maria dal peccato originale, l'opera salvifica di Cristo suo figlio viene potenziata, perché con l'atto redentivo anticipato in Maria, il Figlio si è preparato lo spazio materno in vista dell'incarnazione ed ha provato, in maniera per noi inconcepibile, che per l'umanità non esiste alcuna autoredenzione, neppure per chi è stata chiamata alla maternità divina.

Salmo 98 (97) Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie.

Cantate al Signore un canto nuovo,

perché ha compiuto meraviglie.

Gli ha dato vittoria la sua destra

e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,

agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.

Egli si è ricordato del suo amore,

della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto

la vittoria del nostro Dio.

Acclami il Signore tutta la terra,

gridate, esultate, cantate inni!

Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito ad un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici.

E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”.

Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli.

“La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia, al quale darà il potere di giudicare nell'ultimo giorno la terra: “Giudicherà il mondo con giustizia e i popoli con rettitudine”.

Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. E' una salvezza universale che tocca anche il creato, che deve fremere di fronte agli eventi finali che lo sconvolgeranno: “Frema il mare...”; ma anche esultare, perché sarà sottratto dalla caducità introdotta da Adamo (Cf. Rm 8,19): “I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne”.

Noi, in Cristo, recitiamo il salmo nell'avvento messianico. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo.

La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo agli Efesini

Benedetto Dio,

Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.

In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati

di fronte a lui nella carità,

predestinandoci a essere per lui figli adottivi

mediante Gesù Cristo,

secondo il disegno d’amore della sua volontà,

a lode dello splendore della sua grazia,

di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.

In lui siamo stati fatti anche eredi,

predestinati – secondo il progetto di colui

che tutto opera secondo la sua volontà –

a essere lode della sua gloria,

noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.

Ef 1,3-6.11-12

La Lettera agli Efesini è una delle lettere che la tradizione cristiana attribuisce a S.Paolo, che l'avrebbe scritta durante la sua prigionia a Roma intorno all'anno 62. Gli studiosi moderni però sono divisi su questa attribuzione e la maggioranza ritiene più probabile che la lettera sia stata composta da un altro autore appartenente alla scuola paolina,forse basandosi sulla lettera ai Colossesi, ma in questo caso la datazione della composizione può oscillare, tra l'anno 80 e il 100. La lettera agli Efesini si può dire che è la” lettera della Chiesa” del suo mistero e vita, tanto che anche il Concilio Vaticano II se ne è ampiamente ispirato .

Nel brano che abbiamo, Paolo descrive mirabilmente “il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà”. Inizia con una invocazione benedicente: Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. La benedizione di Dio significa comunicazione di vita, e trova il suo compimento quando torna a Dio sotto forma di benedizione da parte dell'uomo. Il movimento della benedizione è prima discendente, poi ascendente: il dono è infatti completo solo quando è riconosciuto come tale, e il segno del riconoscimento è la lode. La comunicazione di vita, la benedizione, consiste nella chiamata alla santità. C’è un invito a contemplare in Maria la primizia, colei in cui il sogno di Dio ha trovato piena attuazione, senza però collocarla ad un livello irraggiungibile.

Paolo dice esplicitamente che ciascuno di noi è stato scelto prima della creazione del mondo, per essere santo e immacolato al suo cospetto. È la comune vocazione alla santità su cui si innestano le varie vocazioni individuali; e l’esserne rivestita fin dal concepimento non ha esonerato Maria dall’impegno di corrispondere alla grazia. Se l’onda che aveva preso a scorrere in lei ha potuto diventare torrente e traboccare benefica su tutta l’umanità, è stato per il suo incondizionato abbandonarsi allo Spirito. Questo è il potere di un “Sì” che eleva a collaboratori di Dio, non solo nel tessere la nostra santità, ma anche nel portare avanti il Suo disegno di salvezza a favore dell’umanità intera.
Ciò che si è realizzato in Maria attende oggi di realizzarsi in ciascuno di noi, anche se non come lei al momento del concepimento, ma a quello del battesimo. E’ un dono e una chiamata che ci proietta nella meravigliosa avventura della costruzione, prima di noi stessi e poi del mondo, secondo il progetto di Dio e quindi nella direzione dell’amore che non conosce tramonto.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».

A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Sato scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. Lc 1,26-38

L’evangelista Luca inizia il suo racconto, prima precisando che l’evento ha avuto luogo sei mesi dopo l’apparizione dell’angelo a Zaccaria in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, e poi presenta l’angelo Gabriele e Maria,”vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe”
L’angelo appare a Maria e si rivolge a lei dicendo “Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te”. Le parole che l’angelo le rivolge, provocano il turbamento di Maria, per cui l’angelo la invita a non temere, sottolineando che ha “trovato grazia presso Dio” per cui Dio vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito unico e straordinario nel Suo progetto di salvezza. L’angelo glielo annunzia con queste parole: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.

Queste parole alludono all’oracolo di Isaia 7,14: Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e il suo figlio non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi.

In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di madre che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome.

All’annunzio messianico dell’angelo Maria risponde con una domanda: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo? In risposta alla domanda di Maria, l’angelo dà i chiarimenti che, solo chi è immerso completamente nel mistero di Dio, può accettare senza comprendere pienamente “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio” Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, egli spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito Santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento.

Al termine del suo annunzio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra nel modo più convincente che ”nulla è impossibile a Dio” (Gen 18,14).

Con l’accenno a questo segno s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione e prepara il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta.

Alle parole dell’angelo Maria risponde riprendendo le parole di due eroine dell’Antico Testamento, Rut (Rt 3,9) e Abigail (1Sam 25,41):

Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

Maria si rende così disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito santo e rende possibile la nascita straordinaria del Figlio di Dio.
Luca, primo tra gli evangelisti, legge il destino di Maria nella prospettiva del ruolo salvifico di Gesù, presentandola come la nuova Eva, madre del Messia e di quella umanità rigenerata che da Lui prende origine. Maria è paragonata al nuovo tempio, all’arca dell’alleanza, nella quale Dio risiede con la Sua potenza per trasformare tutte le cose. Con la sua disponibilità Maria diventa anche il modello del credente che si abbandona al suo Dio, mettendosi al seguito di Gesù e adeguandosi fino in fondo alla logica della croce.

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O Maria, Madre nostra,

oggi il popolo di Dio in festa ti venera Immacolata,
preservata da sempre dal contagio del peccato.
Accogli l’omaggio che ti offro a nome della Chiesa

che è in Roma e nel mondo intero.

Sapere che Tu, che sei nostra Madre,
sei totalmente libera dal peccato ci dà grande conforto.

Sapere che su di te il male non ha potere,ci riempie di speranza e di fortezza
nella lotta quotidiana che noi dobbiamo compiere contro le minacce del maligno.

Ma in questa lotta non siamo soli, non siamo orfani,
perché Gesù, prima di morire sulla croce,ci ha dato Te come Madre.

Noi dunque, pur essendo peccatori, siamo tuoi figli, figli dell’Immacolata,
chiamati a quella santità che in Te risplende per grazia di Dio fin dall’inizio.

Animati da questa speranza, noi oggi invochiamo la tua materna protezione per noi,
per le nostre famiglie, per questa Città, per il mondo intero.

La potenza dell’amore di Dio, che ti ha preservata dal peccato originale,
per tua intercessione liberi l’umanità da ogni schiavitù spirituale e materiale,
e faccia vincere, nei cuori e negli avvenimenti, il disegno di salvezza di Dio.

Fa’ che anche in noi, tuoi figli, la grazia prevalga sull’orgoglio
e possiamo diventare misericordiosi come è misericordioso il nostro Padre celeste.
In questo tempo che ci conduce alla festa del Natale di Gesù,
insegnaci ad andare controcorrente: a spogliarci, ad abbassarci,

a donarci, ad ascoltare, a fare silenzio,
a decentrarci da noi stessi, per lasciare spazio alla bellezza di Dio, fonte della vera gioia.

O Madre nostra Immacolata, prega per noi!

preghiera che Papa Francesco ha recitato

nel corso dell’atto di venerazione all’Immacolata a Piazza di Spagna

La liturgia di questa seconda domenica di Avvento ci invita con la voce di Giovanni il Battista a “preparare la via al Signore”, annunciandone la venuta imminente.

Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, troviamo una delle più belle pagine poetiche divenuta poi uno dei più celebri canti messianici. Il profeta sembra disegnare simbolicamente la fisionomia di un erede di Davide e per farlo ricorre ad un immagine agricola: da un tronco tagliato e inaridito, spunta un germoglio, un inizio inaspettato di vita.

Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, ci esorta ad accogliere la Parola di Dio per essere uomini e donne pieni di speranza che è dono dello Spirito Santo.

Il Vangelo di Matteo, ci presenta il Battista che in tono severo, minacciando anche castighi tremendi, invita alla conversione per preparare la strada al Messia. Giovanni Battista è colui che riassume in sé tutto l’Antico Testamento e lo unisce al Nuovo, è il precursore del Messia Gesù nella vita come nella morte, e Gesù stesso lo definisce “il più grande tra i nati di donna”.

Dal libro del profeta Isaia

Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.

Alla fine dei giorni,

il monte del tempio del Signore

sarà saldo sulla cima dei monti

e si innalzerà sopra i colli,

e ad esso affluiranno tutte le genti.

Verranno molti popoli e diranno:

“Venite, saliamo sul monte del Signore,

al tempio del Dio di Giacobbe,

perché ci insegni le sue vie

e possiamo camminare per i suoi sentieri”.

Poiché da Sion uscirà la legge

e da Gerusalemme la parola del Signore.

Egli sarà giudice fra le genti

e arbitro fra molti popoli.

Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,

e delle loro lance faranno falci;

una nazione non alzerà più la spada

contro un’altra nazione,

non impareranno più l'arte della guerra.

Casa di Giacobbe, venite,

camminiamo nella luce del Signore.

Is 2,1-3

Il profeta Isaia (Primo Isaia) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C, quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal buon re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini.

La prima parte del libro che porta il suo nome (cc. 1-39) contiene in gran parte oracoli che con una certa sicurezza sono stati da lui composti,. Essa si apre con una serie di poemi composti nel 740-736, durante il periodo in cui Iotam era re di Giuda (Is 1-5). In essi, dopo una forte requisitoria contro il popolo ribelle, divenuto preda di una completa desolazione, il profeta prospetta la pace futura, a cui corrisponde l’abbassamento dei potenti di questo mondo. Vengono poi riportati altri oracoli riguardanti la situazione drammatica di Gerusalemme, con al termine l’annunzio della venuta di un “germoglio giusto”, che è messaggio tardivo di speranza per gli esuli in Babilonia (Is 3-4). Come conclusione della raccolta si trova il “canto della vigna”, seguito da una serie di minacce (Is 5).

Nel brano che abbiamo il profeta riporta una visione contenente un messaggio che riguarda Giuda e Gerusalemme. Nell’oracolo si prospetta per questo regno, in contrasto con la drammatica situazione descritta negli oracoli precedenti, un futuro meraviglioso: “Alla fine dei giorni,il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e si innalzerà sopra i colli,”. L’espressione “fine dei giorni “ indica un imprecisato momento della storia in cui il progetto divino giunge a compimento. Si tratta dunque di un evento che rappresenta la meta a cui è necessario orientarsi nel corso della storia. Esso giunge al termine di un processo di cui Dio è l’autore, ma che si attua progressivamente con la collaborazione umana.

Nell’ambiente siro-palestinese i tempietti delle divinità locali venivano costruiti sulle alture. Anche il Signore ha la Sua dimora sulla montagna di Sion, nel tempio costruito in Suo onore e il profeta immagina questa montagna come un luogo particolarmente saldo e decisamente più alto delle montagne circostanti.

“ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno:“Venite, saliamo sul monte del Signore,al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Tre volte all’anno tutti gli israeliti dovevano recarsi al Suo tempio portando i loro doni (Es 23,17; 34,23) e secondo questo oracolo chi si mette in cammino verso la montagna sono tutte le “genti” e molti “popoli”.

Nel testo parallelo del profeta Michea viene riportato che le nazioni sono identificate come “coloro che camminano con i propri dèi”, quindi anche i pagani(Mi 4,5). Lo scopo di questo pellegrinaggio viene colto nelle parole di coloro che si mettono in cammino. Essi vanno al “tempio del Dio di Giacobbe perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. La salita dei popoli ha una ragione: “Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli.” Il desiderio delle nazioni viene esaudito: da Sion ossia da Gerusalemme, dal luogo in cui si trova il santuario, escono sia la “la legge” che “la parola» del Signore.

L’incontro con il Signore provoca una trasformazione radicale nei rapporti fra i popoli: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,e delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione,non impareranno più l'arte della guerra”. L’effetto del governo del Signore è la pace fra i popoli. Convertire le spade in aratri e le lance in falci è il risultato di un cambiamento di vita per tutti. In forza della parola del Signore le nazioni non solo rinunziano a farsi la guerra, ma trasformano le armi in strumenti con cui produrre ciò che è necessario per l’alimentazione della gente. La pace porta con sé un incremento del benessere anche materiale di tutti.

L’oracolo termina con un invito rivolto a Israele:”Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore”. Implicitamente si dice che la promessa di pace potrà realizzarsi solo se coloro che hanno cominciato ormai a imparare dal Signore a lasciarsi guidare da Lui prenderanno veramente a cuore il camminare nel Suo insegnamento.

Questo oracolo è ripreso in Giovanni 4,22 dove Gesù parlando con la samaritana afferma che” la salvezza viene dai Giudei”, e in Luca 24,47 dopo la Sua resurrezione dice ai suoi discepoli che “nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.”

Salmo 121 - Andiamo con gioia incontro al Signore.

Quale gioia, quando mi dissero:

“Andremo alla casa del Signore”.

Già sono fermi i nostri piedi

alle tue porte, Gerusalemme!

E’ là che salgono le tribù,

le tribù del Signore,

secondo la legge di Israele,

per lodare il nome del Signore.

Là sono posti i troni del giudizio,

i troni della casa di Davide.

Chiedete pace per Gerusalemme:

vivano insieme sicuri quelli che ti amano,

sia pace nelle tue mura,

sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici

Io dirò: « Su di te sia pace!».

Per la casa del Signore nostro Dio,

Chiederò per te il bene.

Questo salmo era usato per i pellegrinaggi annuali a Gerusalemme. Probabilmente venne scritto dopo la ricostruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme al tempo del ritorno dall'esilio; infatti la grande gioia alla notizia che “Andremo alla casa del Signore”, presuppone un fatto straordinario, lungamente atteso, e non uno dei tre pellegrinaggi annuali prescritti dalla legge (Es 23,17; 34,23).

Lo stupore di fronte alla compattezza che presenta la città si apre alla lode di Dio: “Gerusalemme è costruita come città unita e compatta”. La città viene celebrata come il centro dell'unità religiosa per la presenza del tempio e come centro del governo civile: “E' là che salgono le tribù, le tribù del Signore (...) per lodare il nome del Signore. Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide”: benché politicamente non autonoma Gerusalemme è retta dalle leggi di Israele; la menzione di Davide dice che per l'Israelita Gerusalemme rimane legata a Davide, e quindi al futuro Messia.

Il salmista non manca di rivolgersi ai pellegrini invitandoli a pregare: “Chiedete pace per Gerusalemme”; e invoca pace su quanti la amano, cioè su quanti credono nel disegno di Dio su Gerusalemme. La pace invocata è quella che verrà portata dal Principe della pace.

A Gerusalemme si è formata la prima Chiesa particolare, che è stata la madre delle altre Chiese particolari, poiché il Vangelo è partito dalla comunità di Gerusalemme. Ma tutte le Chiese particolari, compresa quella di Gerusalemme, formano e sussistono nell'unica Chiesa di Cristo, che ha come vincolo di unità il successore di Pietro. Il pellegrinaggio dei popoli, delle dodici tribù della terra, trova il suo gioioso approdo alle “porte” della Gerusalemme messianica, pronta ad accogliere tutte le genti. La Gerusalemme messianica è la “civitas cristiana”, che ha come costitutivo fondante la Chiesa (Cf. Ap 21,9s).

Per la “civitas cristiana”, o società dell'amore, bisogna sempre pregare perché tragga costantemente dal Cristo la sua pace e la diffonda estendendosi a tutta la terra.

Il pellegrinaggio, tuttavia, non è cessato perché terminerà solo con l'ingresso nella Gerusalemme celeste.

Lo stupore di potere andare nella “casa del Signore” i cristiani lo hanno avuto nell'erezione delle prime basiliche a Roma, dopo le ondate di persecuzione per annullare la Chiesa.

Il primo stupore di fronte alla Gerusalemme messianica, o civiltà dell'amore, i cristiani lo hanno avuto quanto hanno visto il potere politico di Roma aprirsi a Cristo e alla Chiesa.

Ora il potere politico delle nazioni si sta sempre più chiudendo alla Chiesa, ma non si annullerà il germe della “civitas cristiana”; verrà infatti il giorno in cui su tutta la terra fiorirà la civiltà della verità e dell'amore.

Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani

Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti.

La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo

Rm 13,11-14a

San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme. La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo perchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita.

In questo brano Paolo, dopo avere esortato a non avere altro debito se non quello dell’amore vicendevole, fa una considerazione riguardante i tempi della salvezza: “questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti”. Il credente deve praticare l’amore del prossimo consapevole del “momento speciale” (kairos) in cui sta vivendo. Come per chi dorme l’arrivo del mattino segna l’ora in cui deve ormai svegliarsi dal sonno, così per il credente il tempo attuale è quello in cui deve rendersi conto che la salvezza finale è ormai più vicina di quando ha aderito alla fede. Paolo si rifà qui alla convinzione, ampiamente diffusa tra i primi cristiani, secondo cui il ritorno del Signore fosse imminente (1Ts 4,13-18), e ogni momento che passava lo rendeva più vicino. Il confronto del mattino che si avvicina viene poi ulteriormente sviluppato: “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”. Come coloro per i quali la notte sta ormai per passare devono disporsi alla giornata che comincia, così i credenti devono disfarsi delle “opere delle tenebre” e “rivestire le armi della luce”. Il paragone della notte che lascia il posto al giorno ispira a Paolo un’altra esortazione: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie” .

Il credente deve “comportarsi” onestamente, come in pieno giorno. Ciò significa l’abbandono degli atteggiamenti negativi che caratterizzano quelli che operano nelle tenebre. Questo comportamento negativo viene delineato mediante un piccolo elenco che comprende tre abbinamenti di vizi, che hanno come ambito la mancanza di autocontrollo (orge e ubriachezze), i rapporti sessuali (lussurie e impurità), i rapporti vicendevoli (litigi e gelosie): ad essi Paolo si è richiamato all’inizio della lettera descrivendo il comportamento dell’umanità lontana da Cristo (Rm 1,29-30).

I credenti non devono cedere di fronte ad essi, ma reagire in modo deciso e coerente:“Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo”. Rivestirsi del Signore Gesù Cristo (Gal 3,27) significa diventare una sola cosa con Lui, cioè partecipare pienamente alla Sua esperienza di morte e di risurrezione assumendo il Suo modo di pensare e il Suo comportamento: è questo il modo migliore per resistere alle lusinghe del male.

Il credente non è uno che è già arrivato alla meta, ma uno che si dirige quotidianamente verso di essa, lottando coraggiosamente contro tutti gli ostacoli e le tentazioni che gli rendono difficile il cammino.

Dal vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà portata via e l'altra lasciata.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo”.

Mt 24, 37-44

E’ la prima domenica di Avvento del ciclo A e il Vangelo di Matteo (il secondo per lunghezza, dopo quello di Luca), ci condurrà per tutto il percorso dell’anno liturgico.

E’ il primo dei Vangeli, non tanto per l’antichità, attribuita oggi al Vangelo di Marco, quanto per il suo strettissimo legame con l’Antico Testamento. Riporta infatti 43 citazioni veterotestamentarie, e presenta Gesù come il vero Messia che adempie le Scritture, e la Chiesa come il vero Israele. Il Vangelo di Matteo, è il frutto della predicazione dell’apostolo, ma la composizione definitiva appartiene alla sua scuola e si fa risalire intorno agli anni 80. Ambiente di origine sembra una comunità cristiana composta in maggioranza di cristiani giudei-convertiti, che attraversava un momento di particolare crisi e difficoltà.

Questo brano fa parte del discorso escatologico di Gesù, che si trova anche negli altri due vangeli sinottici. La liturgia riporta solo i versetti nei quali Matteo insiste sulla necessità della vigilanza, prendendo a tal fine come esempio il diluvio universale e altre situazioni della vita quotidiana.

Il paragone del diluvio è utilizzato da Gesù, non in quanto castigo per la corruzione prevalente al tempo di Noè, ma soltanto per il suo carattere improvviso e inatteso. Gli uomini di allora, inconsapevoli della tragica sorte che li attendeva, si preoccupavano solo di ciò che riguardava la loro sopravvivenza in tempi normali: mangiavano e bevevano, e si sposavano. Improvvisamente però, quando Noè entrò nell’arca, furono spazzati via dal diluvio. Poi l’altro paragone :… due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà portata via e l'altra lasciata è tratto dalla realtà quotidiana, dove a volte capitano disgrazie che colpiscono una persona e non un’altra, che si trova nello stesso luogo e nelle stesse condizioni. (L’immagine del “giorno del Signore” è stata immortalata dal profeta Amos in una e propria sceneggiata piena di tensione: è come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde.(Am5,19) Questo per far capire che il giorno del Signore è inevitabile: è il punto della storia in cui Dio entra in scena in modo decisivo e inaugura il suo regno di giustizia e di pace)

Gesù insiste poi dicendo: Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.

Questo: “cercate di capire”, ci fa pensare quanto Gesù ha a cuore la nostra sorte.. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo. Per rafforzare quanto detto prima, Gesù dice che il Figlio dell’uomo verrà nel momento in cui non si pensa: Dio ha i Suoi tempi che non sono quelli dell’uomo e viene quando meno lo si aspetta.

L’ora di cui parla Matteo richiama il giorno e il tempo di cui Paolo parla nella seconda lettura, non un semplice tempo cronologico, ma un kairos, il tempo che appartiene a Dio e in cui Dio agisce, rimane all’uomo nella sua libertà riconoscerlo vivendo la sua vita con impegno, perché all’interno anche della sua storia personale, maturi il progetto di Dio.

…Iniziamo oggi, prima Domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino del Popolo di Dio con Gesù Cristo, il nostro Pastore, che ci guida nella storia verso il compimento del Regno di Dio. Perciò questo giorno ha un fascino speciale, ci fa provare un sentimento profondo del senso della storia. Riscopriamo la bellezza di essere tutti in cammino: la Chiesa, con la sua vocazione e missione, e l’umanità intera, i popoli, le civiltà, le culture, tutti in cammino attraverso i sentieri del tempo.

Ma in cammino verso dove? C’è una mèta comune? E qual è questa mèta? Il Signore ci risponde attraverso il profeta Isaia, e dice così: «Alla fine dei giorni, / il monte del tempio del Signore / sarà saldo sulla cima dei monti / e s’innalzerà sopra i colli, / e ad esso affluiranno tutte le genti. / Verranno molti popoli e diranno: / “Venite, saliamo al monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe, / perché ci insegni le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri”» Questo è quello che dice Isaia sulla meta dove andiamo. E’ un pellegrinaggio universale verso una meta comune, che nell’Antico Testamento è Gerusalemme, dove sorge il tempio del Signore, perché da lì, da Gerusalemme, è venuta la rivelazione del volto di Dio e della sua legge. La rivelazione ha trovato in Gesù Cristo il suo compimento, e il “tempio del Signore” è diventato Lui stesso, il Verbo fatto carne: è Lui la guida ed insieme la meta del nostro pellegrinaggio, del pellegrinaggio di tutto il Popolo di Dio; e alla sua luce anche gli altri popoli possono camminare verso il Regno della giustizia, verso il Regno della pace. Dice ancora il profeta: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra»

Mi permetto di ripetere questo che dice il Profeta, ascoltate bene: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Ma quando accadrà questo? Che bel giorno sarà, nel quale le armi saranno smontate, per essere trasformate in strumenti di lavoro! Che bel giorno sarà quello! E questo è possibile! Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza della pace, e sarà possibile!

Questo cammino non è mai concluso. Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati. L’orizzonte della speranza! Questo è l’orizzonte per fare un buon cammino. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele! Lui non delude! Pensiamo e sentiamo questa bellezza.

Il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita, è la Vergine Maria. Una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino, e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da lei, che è madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa.

Papa Francesco

Parte dell’Angelus del 1 dicembre 2013

Con questa I domenica di Avvento si apre il nuovo anno liturgico e inizia con un invito che dà un senso di inquietudine: Vigilate! Tenetevi pronti!

Nella prima lettura, il profeta Isaia, considerando il giorno del Signore, predice che tutti i popoli si incammineranno da ogni angolo della terra verso il colle luminoso di Sion, verso Gerusalemme, la città santa.
Nella seconda lettura, l’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, dopo aver palato prima e a lungo dell’agire salvifico di Dio in Cristo, invita i cristiani alla consapevolezza del momento. Il kairòs di Dio, cioè il momento in cui Dio agisce per la salvezza, impone al cristiano un preciso comportamento che si concretizza nella vigilanza, nel fare le opere della luce, e nell’essere operatori di pace e non di contese.

Nel Vangelo di Matteo, Gesù ci esorta a vigilare in vista della fine dei tempi, del giudizio finale, infatti dice: tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo” Vigilare e operare bene significa fare la volontà del Padre, significa vivere le parole del Vangelo, prendersi cura del prossimo che avviciniamo, pregare e avere fede in Dio, riconoscendo la Sua presenza nella nostra vita, in modo da poter affrontare tutte le difficoltà che si presentano con calma e serenità. Questo modo di vivere l’attesa è l’elemento distintivo proprio del cristiano, che dovrebbe attendere e vivere il Natale non solo per “tradizione”, ma sentendolo con gioia come un incontro con il Signore che viene.

Dal libro del profeta Isaia
Messaggio che Isaìa, figlio di Amoz, ricevette in visione su Giuda e su Gerusalemme.
Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti
e si innalzerà sopra i colli,
e ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio del Dio di Giacobbe,
perché ci insegni le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti
e arbitro fra molti popoli.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, e delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l'arte della guerra. Casa di Giacobbe, venite,
camminiamo nella luce del Signore.
Is 2,1-3

Il profeta Isaia (Primo Isaia) iniziò la sua opera pubblica verso la fine del regno di Ozia, re di Giuda, attorno al 740 a.C, quando l'intera regione siro-palestinese era minacciata dall'espansionismo assiro. Isaia fu anche uno degli ispiratori della grande riforma religiosa avviata dal buon re Ezechia (715-687 a.C) che mise al bando le usanze idolatre e animiste che gli ebrei avevano adottato imitando i popoli vicini.
La prima parte del libro che porta il suo nome (cc. 1-39) contiene in gran parte oracoli che con una certa sicurezza sono stati da lui composti,. Essa si apre con una serie di poemi composti nel 740-736, durante il periodo in cui Iotam era re di Giuda (Is 1-5). In essi, dopo una forte requisitoria contro il popolo ribelle, divenuto preda di una completa desolazione, il profeta prospetta la pace futura, a cui corrisponde l’abbassamento dei potenti di questo mondo. Vengono poi riportati altri oracoli riguardanti la situazione drammatica di Gerusalemme, con al termine l’annunzio della venuta di un “germoglio giusto”, che è messaggio tardivo di speranza per gli esuli in Babilonia (Is 3-4). Come conclusione della raccolta si trova il “canto della vigna”, seguito da una serie di minacce (Is 5).

Nel brano che abbiamo il profeta riporta una visione contenente un messaggio che riguarda Giuda e Gerusalemme. Nell’oracolo si prospetta per questo regno, in contrasto con la drammatica situazione descritta negli oracoli precedenti, un futuro meraviglioso: “Alla fine dei giorni,il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e si innalzerà sopra i colli,”. L’espressione “fine dei giorni “ indica un imprecisato momento della storia in cui il progetto divino giunge a compimento. Si tratta dunque di un evento che rappresenta la meta a cui è necessario orientarsi nel corso della storia. Esso giunge al termine di un processo di cui Dio è l’autore, ma che si attua progressivamente con la collaborazione umana.

Nell’ambiente siro-palestinese i tempietti delle divinità locali venivano costruiti sulle alture. Anche il Signore ha la Sua dimora sulla montagna di Sion, nel tempio costruito in Suo onore e il profeta immagina questa montagna come un luogo particolarmente saldo e decisamente più alto delle montagne circostanti.
“ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno:“Venite, saliamo sul monte del Signore,al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Tre volte all’anno tutti gli israeliti dovevano recarsi al Suo tempio portando i loro doni (Es 23,17; 34,23) e secondo questo oracolo chi si mette in cammino verso la montagna sono tutte le “genti” e molti “popoli”.

Nel testo parallelo del profeta Michea viene riportato che le nazioni sono identificate come “coloro che camminano con i propri dèi”, quindi anche i pagani(Mi 4,5). Lo scopo di questo pellegrinaggio viene colto nelle parole di coloro che si mettono in cammino. Essi vanno al “tempio del Dio di Giacobbe perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. La salita dei popoli ha una ragione: “Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli.” Il desiderio delle nazioni viene esaudito: da Sion ossia da Gerusalemme, dal luogo in cui si trova il santuario, escono sia la “la legge” che “la parola» del Signore.

L’incontro con il Signore provoca una trasformazione radicale nei rapporti fra i popoli: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,e delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione,non impareranno più l'arte della guerra”. L’effetto del governo del Signore è la pace fra i popoli. Convertire le spade in aratri e le lance in falci è il risultato di un cambiamento di vita per tutti. In forza della parola del Signore le nazioni non solo rinunziano a farsi la guerra, ma trasformano le armi in strumenti con cui produrre ciò che è necessario per l’alimentazione della gente. La pace porta con sé un incremento del benessere anche materiale di tutti.

L’oracolo termina con un invito rivolto a Israele:”Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore”. Implicitamente si dice che la promessa di pace potrà realizzarsi solo se coloro che hanno cominciato ormai a imparare dal Signore a lasciarsi guidare da Lui prenderanno veramente a cuore il camminare nel Suo insegnamento.
Questo oracolo è ripreso in Giovanni 4,22 dove Gesù parlando con la samaritana afferma che” la salvezza viene dai Giudei”, e in Luca 24,47 dopo la Sua resurrezione dice ai suoi discepoli che “nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme.”

Salmo 121- Andiamo con gioia incontro al Signore

Quale gioia, quando mi dissero:
“Andremo alla casa del Signore”.
Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!

E’ là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge di Israele,
per lodare il nome del Signore.
Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano insieme sicuri quelli che ti amano,
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.

Per i miei fratelli e i miei amici
Io dirò: « Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
Chiederò per te il bene.

Questo salmo era usato per i pellegrinaggi annuali a Gerusalemme. Probabilmente venne scritto dopo la ricostruzione del tempio e delle mura di Gerusalemme al tempo del ritorno dall'esilio; infatti la grande gioia alla notizia che “Andremo alla casa del Signore”, presuppone un fatto straordinario, lungamente atteso, e non uno dei tre pellegrinaggi annuali prescritti dalla legge (Es 23,17; 34,23).
Lo stupore di fronte alla compattezza che presenta la città si apre alla lode di Dio: “Gerusalemme è costruita come città unita e compatta”. La città viene celebrata come il centro dell'unità religiosa per la presenza del tempio e come centro del governo civile: “E' là che salgono le tribù, le tribù del Signore (...) per lodare il nome del Signore. Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide”: benché politicamente non autonoma Gerusalemme è retta dalle leggi di Israele; la menzione di Davide dice che per l'Israelita Gerusalemme rimane legata a Davide, e quindi al futuro Messia.
Il salmista non manca di rivolgersi ai pellegrini invitandoli a pregare: “Chiedete pace per Gerusalemme”; e invoca pace su quanti la amano, cioè su quanti credono nel disegno di Dio su Gerusalemme. La pace invocata è quella che verrà portata dal Principe della pace.

A Gerusalemme si è formata la prima Chiesa particolare, che è stata la madre delle altre Chiese particolari, poiché il Vangelo è partito dalla comunità di Gerusalemme. Ma tutte le Chiese particolari, compresa quella di Gerusalemme, formano e sussistono nell'unica Chiesa di Cristo, che ha come vincolo di unità il successore di Pietro. Il pellegrinaggio dei popoli, delle dodici tribù della terra, trova il suo gioioso approdo alle “porte” della Gerusalemme messianica, pronta ad accogliere tutte le genti. La Gerusalemme messianica è la “civitas cristiana”, che ha come costitutivo fondante la Chiesa (Cf. Ap 21,9s).
Per la “civitas cristiana”, o società dell'amore, bisogna sempre pregare perché tragga costantemente dal Cristo la sua pace e la diffonda estendendosi a tutta la terra.
Il pellegrinaggio, tuttavia, non è cessato perché terminerà solo con l'ingresso nella Gerusalemme celeste.

Lo stupore di potere andare nella “casa del Signore” i cristiani lo hanno avuto nell'erezione delle prime basiliche a Roma, dopo le ondate di persecuzione per annullare la Chiesa.
Il primo stupore di fronte alla Gerusalemme messianica, o civiltà dell'amore, i cristiani lo hanno avuto quanto hanno visto il potere politico di Roma aprirsi a Cristo e alla Chiesa.
Ora il potere politico delle nazioni si sta sempre più chiudendo alla Chiesa, ma non si annullerà il germe della “civitas cristiana”; verrà infatti il giorno in cui su tutta la terra fiorirà la civiltà della verità e dell'amore.
Commento tratto da “Cantico dei Cantici” di P.Paolo Berti

Dalla lettera di S.Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti.
La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo
Rm 13,11-14a

San Paolo scrisse la lettera ai Romani da Corinto probabilmente tra gli anni 58-59. La comunità dei cristiani di Roma era già ben formata e coordinata, ma lui ancora non la conosceva. Forse il primo annuncio fu portato a Roma da quei “Giudei di Roma”, presenti a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste e che accolsero il messaggio di Pietro e il Battesimo da lui amministrato, diventando cristiani. Nacque subito la necessità di avere a Roma dei presbiteri e questi non poterono che essere istituiti a Gerusalemme. La Lettera ai Romani è uno dei testi più alti e più impegnativi degli scritti di Paolo perchè affronta grandi temi teologici: l'universalità e la gratuità del dono della salvezza che si ottiene per mezzo della fede in Cristo; la fedeltà di Dio; i rapporti tra giudaismo e cristianesimo; la libertà di aderire alla legge dello Spirito che dà vita.

In questo brano Paolo, dopo avere esortato a non avere altro debito se non quello dell’amore vicendevole, fa una considerazione riguardante i tempi della salvezza: “questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti”. Il credente deve praticare l’amore del prossimo consapevole del “momento speciale” (kairos) in cui sta vivendo. Come per chi dorme l’arrivo del mattino segna l’ora in cui deve ormai svegliarsi dal sonno, così per il credente il tempo attuale è quello in cui deve rendersi conto che la salvezza finale è ormai più vicina di quando ha aderito alla fede. Paolo si rifà qui alla convinzione, ampiamente diffusa tra i primi cristiani, secondo cui il ritorno del Signore fosse imminente (1Ts 4,13-18), e ogni momento che passava lo rendeva più vicino. Il confronto del mattino che si avvicina viene poi ulteriormente sviluppato: “La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce”. Come coloro per i quali la notte sta ormai per passare devono disporsi alla giornata che comincia, così i credenti devono disfarsi delle “opere delle tenebre” e “rivestire le armi della luce”. Il paragone della notte che lascia il posto al giorno ispira a Paolo un’altra esortazione: “Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie” .

Il credente deve “comportarsi” onestamente, come in pieno giorno. Ciò significa l’abbandono degli atteggiamenti negativi che caratterizzano quelli che operano nelle tenebre. Questo comportamento negativo viene delineato mediante un piccolo elenco che comprende tre abbinamenti di vizi, che hanno come ambito la mancanza di autocontrollo (orge e ubriachezze), i rapporti sessuali (lussurie e impurità), i rapporti vicendevoli (litigi e gelosie): ad essi Paolo si è richiamato all’inizio della lettera descrivendo il comportamento dell’umanità lontana da Cristo (Rm 1,29-30).
I credenti non devono cedere di fronte ad essi, ma reagire in modo deciso e coerente:“Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo”. Rivestirsi del Signore Gesù Cristo (Gal 3,27) significa diventare una sola cosa con Lui, cioè partecipare pienamente alla Sua esperienza di morte e di risurrezione assumendo il Suo modo di pensare e il Suo comportamento: è questo il modo migliore per resistere alle lusinghe del male.
Il credente non è uno che è già arrivato alla meta, ma uno che si dirige quotidianamente verso di essa, lottando coraggiosamente contro tutti gli ostacoli e le tentazioni che gli rendono difficile il cammino.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti, così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà portata via e l'altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo”.
Mt 24, 37-44

E’ la prima domenica di Avvento del ciclo A e il Vangelo di Matteo (il secondo per lunghezza, dopo quello di Luca), ci condurrà per tutto il percorso dell’anno liturgico.
E’ il primo dei Vangeli, non tanto per l’antichità, attribuita oggi al Vangelo di Marco, quanto per il suo strettissimo legame con l’Antico Testamento. Riporta infatti 43 citazioni veterotestamentarie, e presenta Gesù come il vero Messia che adempie le Scritture, e la Chiesa come il vero Israele. Il Vangelo di Matteo, è il frutto della predicazione dell’apostolo, ma la composizione definitiva appartiene alla sua scuola e si fa risalire intorno agli anni 80. Ambiente di origine sembra una comunità cristiana composta in maggioranza di cristiani giudei-convertiti, che attraversava un momento di particolare crisi e difficoltà.
Questo brano fa parte del discorso escatologico di Gesù, che si trova anche negli altri due vangeli sinottici. La liturgia riporta solo i versetti nei quali Matteo insiste sulla necessità della vigilanza, prendendo a tal fine come esempio il diluvio universale e altre situazioni della vita quotidiana.

Il paragone del diluvio è utilizzato da Gesù, non in quanto castigo per la corruzione prevalente al tempo di Noè, ma soltanto per il suo carattere improvviso e inaspettato. Gli uomini di allora, inconsapevoli della tragica sorte che li attendeva, si preoccupavano solo di ciò che riguardava la loro sopravvivenza in tempi normali: mangiavano e bevevano, e si sposavano. Improvvisamente però, quando Noè entrò nell’arca, furono spazzati via dal diluvio. Poi l’altro paragone :… due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà portata via e l'altra lasciata è tratto dalla realtà quotidiana, dove a volte capitano disgrazie che colpiscono una persona e non un’altra, che si trova nello stesso luogo e nelle stesse condizioni.
(L’immagine del “giorno del Signore” è stata immortalata dal profeta Amos in una e propria sceneggiata piena di tensione: è come quando uno fugge davanti al leone e s’imbatte in un orso; entra in casa, appoggia la mano sul muro e un serpente lo morde.(Am5,19) Questo per far capire che il giorno del Signore è inevitabile: è il punto della storia in cui Dio entra in scena in modo decisivo e inaugura il suo regno di giustizia e di pace).

Gesù insiste poi dicendo: Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.
Questo: “cercate di capire”, ci fa pensare quanto Gesù ha a cuore la nostra sorte.. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo. Per rafforzare quanto detto prima, Gesù dice che il Figlio dell’uomo verrà nel momento in cui non si pensa: Dio ha i suoi tempi che non sono quelli dell’uomo e viene quando meno lo si aspetta.
L’ora di cui parla Matteo richiama il giorno e il tempo di cui Paolo parla nella seconda lettura, non un semplice tempo cronologico, ma un kairos, il tempo che appartiene a Dio e in cui Dio agisce, rimane all’uomo nella sua libertà riconoscerlo vivendo la sua vita con impegno, perché all’interno anche della sua storia personale, maturi il progetto di Dio.

LE PAROLE DI PAPA FRANCESCO

…Iniziamo oggi, Prima Domenica di Avvento, un nuovo anno liturgico, cioè un nuovo cammino del Popolo di Dio con Gesù Cristo, il nostro Pastore, che ci guida nella storia verso il compimento del Regno di Dio. Perciò questo giorno ha un fascino speciale, ci fa provare un sentimento profondo del senso della storia. Riscopriamo la bellezza di essere tutti in cammino: la Chiesa, con la sua vocazione e missione, e l’umanità intera, i popoli, le civiltà, le culture, tutti in cammino attraverso i sentieri del tempo.

Ma in cammino verso dove? C’è una mèta comune? E qual è questa mèta? Il Signore ci risponde attraverso il profeta Isaia, e dice così: «Alla fine dei giorni, / il monte del tempio del Signore / sarà saldo sulla cima dei monti / e s’innalzerà sopra i colli, / e ad esso affluiranno tutte le genti. / Verranno molti popoli e diranno: / “Venite, saliamo al monte del Signore, / al tempio del Dio di Giacobbe, / perché ci insegni le sue vie / e possiamo camminare per i suoi sentieri”» Questo è quello che dice Isaia sulla meta dove andiamo. E’ un pellegrinaggio universale verso una meta comune, che nell’Antico Testamento è Gerusalemme, dove sorge il tempio del Signore, perché da lì, da Gerusalemme, è venuta la rivelazione del volto di Dio e della sua legge. La rivelazione ha trovato in Gesù Cristo il suo compimento, e il “tempio del Signore” è diventato Lui stesso, il Verbo fatto carne: è Lui la guida ed insieme la meta del nostro pellegrinaggio, del pellegrinaggio di tutto il Popolo di Dio; e alla sua luce anche gli altri popoli possono camminare verso il Regno della giustizia, verso il Regno della pace. Dice ancora il profeta: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» Mi permetto di ripetere questo che dice il Profeta, ascoltate bene: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, / delle loro lance faranno falci; / una nazione non alzerà più la spada / contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra». Ma quando accadrà questo? Che bel giorno sarà, nel quale le armi saranno smontate, per essere trasformate in strumenti di lavoro! Che bel giorno sarà quello! E questo è possibile! Scommettiamo sulla speranza, sulla speranza della pace, e sarà possibile!

Questo cammino non è mai concluso. Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati. L’orizzonte della speranza! Questo è l’orizzonte per fare un buon cammino. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai! Lui è fedele! Lui non delude! Pensiamo e sentiamo questa bellezza.

Il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita, è la Vergine Maria. Una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino, e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da lei, che è madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa.
Papa Francesco
Parte dell’Angelus del 1 dicembre 2013
*****
La melodia che ho inserita come sottofondo è What Child Is This? che è un celebre canto natalizio tradizionale, il cui testo è stato scritto nel 1865 dal poeta ed autore di inni inglese Willian Chatterton Dix . Il testo fu poi adattato da John Stainer alla melodia del celebre brano tradizionale inglese Greensleeves del XVI secolo. Sotto riporto il testo in inglese e con a fianco la traduzione in italiano

What child is this, who, laid to rest,
On Mary's lap is sleeping?
Whom angels greet with anthems sweet,
While shepherds watch are keeping?

This, this is Christ the King,
Whom shepherds guard and angels sing:
Haste, haste to bring him laud,
The babe, the son of Mary.

Why lies he in such mean estate
Where ox and ass are feeding?
Good Christian, fear: for sinners here
The silent Word is pleading.

So bring him incense, gold, and myrrh,
Come, peasant, king, to own him.
the King of kings salvation brings,
Let loving hearts enthrone him

Chi è questo bambino, che steso a riposare
Sul grembo di Maria sta dormendo?
Che gli angeli accolgono con inni di gioia
Mentre i pastori vegliano?

Costui è Cristo il Re,
Che i pastori vegliano e a cui gli angeli cantano;
Affrettatevi, affrettatevi a lodarLo,
Il Bambino, il figlio di Maria!

Perché Egli giace in una così modesta dimora
Dove il bue e l'asinello si nutrono?
Bravo Cristiano, abbi timore, qui per i peccatori
La Parola silenziosa sta pregando.

Chiodi e lance lo dovranno trafiggere,
Portare la Croce per me, per te;
Salve, salve Parola fatta carne,
Il Bambino, il Figlio di Maria!

1 - Martedì prossimo, 22 Novembre, invitiamo il gruppo "Laici Salettini” a partecipare al loro incontro.
2 -Sabato 26 Novembre, le giovani coppie sono invitate a partecipare al ritiro di formazione che si terrà presso la scuola Anna Micheli.
3 - Sempre sabato prossimo, dalle ore 8,00 alle 11,00, avrà luogo la raccolta del sangue. Coloro che possono donarlo compiono un gesto squisito di carità verso coloro che ne hanno bisogno.
4 -Giovedì prossimo 24 Novembre, la Santa Messa delle ore 18,30 sarà animata dal Gruppo del Rinnovamento nello Spirito. Al termine seguirà l'adorazione eucaristica. Una buona occasione per prepararci ad iniziare bene il nuovo anno liturgico.

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
tel. e fax 06-58.20.94.23
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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
Affidata a: Missionari di Nostra Signora di «La Salette» (M.S.)
 

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