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S.Messe (settimana)
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Henryk

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Le letture di questa terza domenica di Pasqua, contengono un messaggio per tutti noi: il conflitto tra il desiderio di credere alla risurrezione e i timori umani che sia solo un’illusione.
Nella prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli, Luca ci presenta Pietro, che davanti all’incredulità della gente riguardo alla discesa dello Spirito Santo, deve spiegare come la Sacra Scrittura annunciasse quanto era avvenuto in quei giorni, cioè che in Gesù si sono realizzate le promesse fatte da Dio a Davide, per cui Gesù è davvero il Signore e il Messia, cioè il Salvatore promesso da Dio.
Nella seconda lettura, nella sua prima lettera, Pietro, dopo aver affermato che la santità cristiana consiste nel conformarsi alla santità di Dio, ricorda ai fedeli l’atteggiamento di timore filiale che essi devono avere nei confronti di Dio.
Nel Vangelo troviamo il racconto dei discepoli di Emmaus che solo Luca ci riporta. E’ uno stupendo racconto di un viaggio spirituale attraverso le strade desolate del dubbio e vediamo come anche in questo cammino l’uomo non è mai solo, c’è sempre la presenza segreta di Dio accanto a lui. Si può dire che c’è un Emmaus spirituale in cui tutti noi entriamo ogni domenica per ascoltare il Cristo che parla, spezzare con Lui il Suo pane e poterlo riconoscere nella fede e nell’amore.

Dagli Atti degli Apostoli
Nel giorno di Pentecoste, Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così:« Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo:
Contemplavo sempre il Signore innanzi a me;
egli sta alla mia destra, perché io non vacilli.
Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua,
e anche la mia carne riposerà nella speranza,
perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi
né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione.
Mi hai fatto conoscere le vie della vita,
mi colmerai di gioia con la tua presenza.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».
At 2,14a.22-23

Questo brano tratto dal Libro degli Atti, presenta la prima testimonianza che gli apostoli danno di Gesù dopo aver ricevuto da Lui il dono dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste. E’ il primo discorso di Pietro, che sente la responsabilità della trasmissione della fede, e riassume la storia di salvezza che Dio ha fatto con il Suo popolo attraverso la vita e le opere di Gesù di cui, coloro a cui Pietro parla, sono stati testimoni per i prodigi da Lui compiuti, per la Sua morte in croce e soprattutto per la Sua resurrezione.
Questo discorso leggiamo che viene fatto in piedi e ad alta voce, per sottolineare la solennità e l’importanza del significato storico-teologico di ciò che viene affermato.
In breve Pietro afferma: Ascoltate bene, come già sapete, Dio Padre mandò nel mondo in mezzo a voi suo Figlio, che vi ammaestrò con la sua Parola ma voi non lo avete compreso e lo avete messo in croce. Ora Dio lo ha risuscitato liberandolo dai dolori della morte perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Lo stesso Davide diceva di averlo conosciuto e di sentirlo sempre vicino, perché lo aiutava nelle difficoltà e aveva messo nel suo cuore la speranza della vita futura.
Ora fratelli io vi devo dire che il patriarca Davide è morto e sepolto e il suo sepolcro esiste ancora fra noi ma egli aveva profetizzato la venuta del Cristo Salvatore. Infatti questo Gesù che abbiamo conosciuto, dopo la sua risurrezione è salito alla destra del Padre e ricevuto lo Spirito lo ha effuso su di noi come vedete".
Non è facile credere alla risurrezione di Cristo anche per noi cristiani di oggi perchè è Qualcosa di talmente stupefacente che supera la nostra comprensione umana: attraverso la Pasqua si è realizzata la nostra salvezza perchè Gesù è risorto per noi, per ognuno di noi, per esserci vicino ogni giorno sul cammino verso di Lui. Nei momenti della prova solo Lui ci può aiutare, solo Lui ci può sorreggere ed asciugare le nostre lacrime, anche quelle nascoste che nessuno vede.

Salmo 15/16 Mostraci, Signore, il sentiero della vita.

Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio
Ho detto al Signore: “Il mio Signore sei tu”
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio
anche di notte il mio animo mi istruisce
Io pongo sempre davanti a me il Signore
Sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima:
Anche il mio corpo riposa al sicuro
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita
Gioia piena alla tua presenza
Dolcezza senza fine alla tua destra

Il salmista si rivolge a Dio con pace avendo eletto il Signore, quale suo rifugio. Non mancano a lui le difficoltà, gli avversari violenti. Senza l’unione con lui ogni cosa non sarebbe più per lui un bene. Egli ama i santi, i giusti; nel compimento messianico che è la Chiesa, i fratelli in Cristo. Egli si sente in forte comunione con loro, e trova forza da questo. Gli empi, che incalzano costruendo e affermando idoli, non lo sgomentano perché la sua vita è nelle mani di Dio, e niente per lui sarebbe sulla terra un bene senza il sommo bene, che è Dio: “Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene”.
L’orante considera come Dio lo aiuta e conforta e come per lui questo sia tutto. La sorte (il sorteggio) (Cf. Gd 17,1; Nm 26,55; ecc.) che assegnò un tempo i vari territori ai casati di Israele, ora è violata dall’ingiustizia dei dominatori idolatri, ma questo fa comprendere meglio all’orante che la vera sua sorte la sua vera sicurezza e forza è proprio il Signore, che gli dà pace e letizia: “Signore è mia parte di eredità e mio calice”.
L’orante non tiene per se tutto questo, ma lo partecipa ai fratelli per un nutrirsi reciproco di luce. Non ha odio per gli empi e non li esclude dalla volontà salvifica di Dio: sono essi stessi ad escludersi da questa volontà con “le loro libagioni di sangue”, cioè i loro crimini, vero culto del male. Il salmista è certo che Dio non lo abbandonerà negli inferi una volta lasciata la terra: “non abbandonerai la mia vita negli inferi”. Ed egli sa che “il tuo Santo”, cioè il Cristo (Cf. At 13,35), avrà - ha avuto - vittoria sulla corruzione della tomba. Il salmista sa che percorrendo giorno dopo giorno “il sentiero della vita”, giungerà all’eterna dolcezza del cielo, alla destra di Dio, che è espressione letteraria indicante il glorioso essere con Dio.
In assoluta eccellenza è Cristo che nella gloria è alla destra del Padre
Commento di P.Paolo Berti

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.
Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.
Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.
1Pt 1,17-21
Pietro, nella sua esortazione, dopo aver affermato che la santità cristiana consiste nel conformarsi alla santità di Dio, ricorda ai fedeli : se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. C’è un chiaro riferimento alla preghiera del Padre nostro che probabilmente al suo tempo veniva già recitato nella celebrazione liturgica. Rivolgendosi a Dio con l’appellativo di “padre” i cristiani mettono in luce il rapporto intimo di familiarità che li unisce a Lui, in quanto partecipi della stessa filiazione divina di Cristo. Ma facendo ciò essi devono ricordare che Dio, in quanto padre di tutti, non è uno che fa preferenza di persona e di conseguenza basa il suo giudizio unicamente sulle opere che ciascuno compie.
Il comportamento cristiano che Pietro raccomanda è la logica conseguenza di quanto ha compiuto Cristo nella sua vita terrena: Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.
L’opera compiuta da Cristo rientra perfettamente nel piano di Dio: “Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi”.
Sullo sfondo di questa affermazione si intravede la concezione della Sapienza, di cui Dio si è servito per creare l’universo e per unire a sé l’umanità. Cristo è dunque lo strumento eccelso dell’opera di Dio in questo mondo. La Sua venuta, che si situa in quello che è considerato il momento finale della storia umana, non è altro che la rivelazione di Colui che era già presente agli inizi di questo mondo, cioè il centro dell’azione salvifica di Dio.
La vicenda terrena di Gesù costituisce il fondamento della fede dei cristiani: “voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio”. La manifestazione piena del Cristo avviene dunque nel momento della Sua risurrezione, che è qui presentata come un’opera compiuta da Dio, che così facendo gli “ha dato gloria”, cioè ha pienamente riabilitato colui che aveva patito una morte vergognosa.
Proprio sulla risurrezione di Cristo si basa la fede dei cristiani e da questa fede nasce la loro speranza che Dio porti a compimento anche per loro la risurrezione con la quale ha glorificato il Figlio Gesù.

Dal Vangelo secondo Luca
Ed ecco, in quello stesso giorno (il primo della settimana) due di loro (dei discepoli) erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso.
Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?».
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista.
Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».
Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Lc 24,13-35
In questo brano del vangelo di Luca, abbiamo un racconto molto noto dell'apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus. Luca scrive negli anni 80 per le comunità della Grecia che era formata in gran parte da pagani convertiti. Gli anni 60 e 70 erano stati molto difficili: nel 64 c’era stata la grande persecuzione di Nerone e sei anni dopo, nel 70, Gerusalemme fu totalmente distrutta dai romani. Nel 72, a Masada, nel deserto di Giuda, ci fu il massacro degli ultimi giudei ribelli, inoltre in quegli anni, gli apostoli, testimoni della resurrezione, stavano scomparendo, per cui si cominciava a sentire la stanchezza del cammino.
Luca riportando il racconto dell'apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus vuole insegnare alle comunità come interpretare la Scrittura per poter riscoprire la presenza di Gesù nella vita.
Il racconto inizia citando due discepoli che durante il cammino verso un villaggio di nome Emmaus, (luogo della tradizione, simbolo della vittoria di Israele sui pagani riportata dal 1 libro dei Masccabei) conversano di tutto quello che era accaduto. I due non appartengono al gruppo degli undici, forse fanno parte del numero dei settantadue discepoli inviati da Gesù in missione . Mentre discutono tra loro, Gesù in persona si avvicina e si mette a camminare con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Egli allora dice loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?”. Essi si fermano rattristati. La domanda dello sconosciuto suppone che i due discutessero in modo piuttosto animato e la tristezza dei due discepoli di fronte alla domanda del forestiero esprime non tanto la reazione al fatto che egli non sappia che cosa è accaduto, ma il dispiacere per il fallimento delle loro attese messianiche. La crocifissione rappresentava per essi la fine d’ogni speranza! Alla domanda rivolta loro uno dei due, di nome Clèopa, risponde meravigliato: “Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Alla controdomanda dell’uomo, che gli chiede di che cosa si tratti, essi rispondono: “Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. (E’ da notare che la responsabilità della morte di Gesù viene attribuita ai gran sacerdoti e ai capi dei giudei, senza neppure menzionare il ruolo svolto dai romani, che normalmente Luca cerca di scagionare). Anzitutto i due dicono di aver sperato “che fosse lui a liberare Israele”, ma aggiungono che sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Essi aspettavano dunque che Gesù attuasse la “liberazione di Israele”: questa espressione suppone un messianismo di carattere nazionalista e politico e l’accenno al “terzo giorno” dalla scomparsa di Gesù mette in risalto la perdita di ogni speranza. I due discepoli però non sono all’oscuro di quanto nel frattempo è capitato. Essi sanno infatti che alcune donne del loro gruppo si sono recate al mattino al sepolcro e sono tornate a riferire di non avervi trovato il corpo di Gesù e di aver avuto una visione di angeli, i quali affermavano che egli è vivo. Inoltre alcuni dei loro erano andati al sepolcro e l’avevano trovato come avevano detto le donne, cioè vuoto, ma lui non l’avevano visto.
A questo punto il forestiero stesso prende la parola contestando i due discepoli: Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? Il rimprovero riguarda il loro rifiuto di credere a quanto dicevano le Scritture profetiche, nelle quali si trova espressa la necessità storico-salvifica della sofferenza del Messia. E infatti, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiega loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui . Mentre i discepoli avevano presentato Gesù come semplice profeta, egli lo indica espressamente come il Cristo. e come tale ha dovuto affrontare una sofferenza che era già stata predetta nelle Scritture: (è chiaro il riferimento ai carmi del Servo di JHWH) .
Quando i tre giungono vicino al villaggio dove i discepoli erano diretti, il forestiero fa per congedarsi da loro. Ma essi lo trattengono con queste parole: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”. Essi gli fanno una pressione garbata perché si fermi con loro, come avviene comunemente in Oriente quando si tratta di invitare una persona a casa propria. Qui si può cogliere soprattutto il bisogno dei discepoli di avere ancora con sé lo sconosciuto che, come diranno dopo, ha infiammato i loro cuori. Quando furono a tavola, Gesù prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Solo ora gli occhi dei due discepoli si aprono ed essi lo riconoscono, ma lui sparisce dalla loro vista. Ed essi si dicono l’un l’altro: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”.
La scomparsa improvvisa del Cristo è un fatto paradossale: quando era con loro non l’avevano riconosciuto, e quando lo riconoscono si allontana da loro! I discepoli capiscono ora perché il cuore ardeva nel loro petto mentre Gesù spiegava loro le Scritture. Tuttavia ciò non era bastato per riconoscerlo, ma era stato necessario lo spezzare del pane. I due allora partono senza indugio e fanno ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicono:”Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!“. Il riconoscimento di Gesù da parte dei due discepoli è fondato anzitutto su un’attenta lettura delle Scritture. I due non erano disposti ad accettare la Sua risurrezione perché non avevano saputo cogliere nelle scritture il significato salvifico della Sua morte in croce. Sapevano che era un profeta, ma non erano disposti ad accettare che fosse il Messia promesso dalle Scritture. La rilettura che Gesù indica è perciò indispensabile perché essi passino dall’incredulità alla fede. Il fatto che di fronte alle spiegazioni di Gesù il loro cuore ardesse nel petto significa che essi erano già preparati a questo tipo di interpretazione, sebbene non fossero capaci di fare da soli il passo decisivo
L’esperienza dei discepoli di Emmaus è esemplare perché, come loro, anche i futuri discepoli di Gesù potranno riconoscerlo vivo nell’assemblea eucaristica, nella quale la lettura stessa delle Scritture va di pari passo con i rapporti nuovi che si sono instaurati tra coloro che credono in Lui.
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Il Vangelo di questa domenica, è quello dei discepoli di Emmaus. Questi erano due discepoli di Gesù, i quali, dopo la sua morte e passato il sabato, lasciano Gerusalemme e ritornano, tristi e abbattuti, verso il loro villaggio, chiamato appunto Emmaus. Lungo la strada Gesù risorto si affiancò ad essi, ma loro non lo riconobbero. Vedendoli così tristi, Egli dapprima li aiutò a capire che la passione e la morte del Messia erano previste nel disegno di Dio e preannunciate nelle Sacre Scritture; e così riaccese un fuoco di speranza nei loro cuori.
A quel punto, i due discepoli avvertirono una straordinaria attrazione verso quell’uomo misterioso, e lo invitarono a restare con loro quella sera. Gesù accettò ed entrò con loro in casa. E quando, stando a mensa, benedisse il pane e lo spezzò, essi lo riconobbero, ma Lui sparì dalla loro vista, lasciandoli pieni di stupore. Dopo essere stati illuminati dalla Parola, avevano riconosciuto Gesù risorto nello spezzare il pane, nuovo segno della sua presenza. E subito sentirono il bisogno di ritornare a Gerusalemme, per riferire agli altri discepoli questa loro esperienza, che avevano incontrato Gesù vivo e lo avevano riconosciuto in quel gesto della frazione del pane.
La strada di Emmaus diventa così simbolo del nostro cammino di fede: le Scritture e l’Eucaristia sono gli elementi indispensabili per l’incontro con il Signore. Anche noi arriviamo spesso alla Messa domenicale con le nostre preoccupazioni, le nostre difficoltà e delusioni ...
La vita a volte ci ferisce e noi ce ne andiamo tristi, verso la nostra “Emmaus”, voltando le spalle al disegno di Dio. Ci allontaniamo da Dio. Ma ci accoglie la Liturgia della Parola: Gesù ci spiega le Scritture e riaccende nei nostri cuori il calore della fede e della speranza, e nella Comunione ci dà forza ..... Parola di Dio, Eucaristia. Leggere ogni giorno un brano del Vangelo. Ricordatelo bene: leggere ogni giorno un brano del Vangelo, e le domeniche andare a fare la Comunione, a ricevere Gesù. Così è accaduto con i discepoli di Emmaus: hanno accolto la Parola; hanno condiviso la frazione del pane e da tristi e sconfitti che si sentivano, sono diventati gioiosi. Sempre, cari fratelli e sorelle, la Parola di Dio e l’Eucaristia ci riempiono di gioia. Ricordatelo bene! Quando tu sei triste, prendi la Parola di Dio. Quando tu sei giù, prendi la Parola di Dio e va’ alla Messa della domenica a fare la Comunione, a partecipare del mistero di Gesù. Parola di Dio, Eucaristia: ci riempiono di gioia.
Papa Francesco
Angelus 4 maggio 2014

La prima domenica dopo Pasqua, prima di chiamarsi della Divina Misericordia, era chiamata "domenica in albis". Questo nome era dovuto perchè ai primi tempi della Chiesa il battesimo era amministrato durante la notte di Pasqua, ed i battezzandi indossavano una tunica bianca che portavano poi per tutta la settimana successiva, fino alla prima domenica dopo Pasqua, detta perciò "domenica in cui si depongono le vesti bianche" ("in albis depositis"). Questa domenica dal 2000 è stata proclamata Festa della Divina Misericordia per volontà del Papa Giovanni Paolo II, come testimonia la sua seconda Enciclica “Dives in Misericordia”, scritta nel 1980.

La liturgia pasquale si distende per l’arco intero di sette settimane con altrettante domeniche pasquali che sono prevalentemente costruite su alcuni ritratti della Chiesa del Cristo Risorto, con le sue gioie, le sue attese, la sua fede, ma anche con le sue prime ansie.

Nella liturgia di oggi, nella prima lettura tratta dal Libro degli Apostoli, Luca ci presenta la planimetria della Gerusalemme cristiana, la Chiesa-madre che nel cenacolo ha la sua prima cattedrale che si erge su quattro pilastri: l’insegnamento degli apostoli; la frazione del pane, cioè l’ eucaristia; le preghiere; e la koimonia, cioè l’amore fraterno .

Nella seconda lettura, tratta dalla prima lettera di Pietro, troviamo un antico inno battesimale in cui si benedice Dio per l’opera di salvezza operata tramite il Cristo, la quale è per il credente rigenerazione e apertura nella speranza, verso una salvezza totale.

Il Vangelo di Giovanni riporta l’incontro di Gesù risorto con gli apostoli e il suo saluto: Pace a Voi ! L’episodio di Tommaso, con i suoi umanissimi dubbi, è particolarmente utile per tutti coloro che procedono a tentoni in una valle oscura alla ricerca di Dio. Tommaso alla fine è stato in grado di proclamare la sua fede con una purezza straordinaria, forse la più alta del quarto Vangelo: “Mio Signore e mio Dio!”

Dagli Atti degli Apostoli
Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli.
Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.
At 2,42-47

L’evangelista Luca nell’intento di riportare nel libro degli Atti degli Apostoli la diffusione e la crescita della Chiesa, mette in questo primo sommario, una descrizione della comunità primitiva che trova il suo modello e la sua ispirazione nella più piccola comunità cristiana che sia mai esistita.
Fa anzitutto una presentazione generale della comunità: “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”. Ciò che qualifica la comunità è il fatto che tutti i suoi membri sono “perseveranti”, cioè animati da una dedizione personale e vissuta, che si manifesta nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nell’unione fraterna, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Dopo aver presentato in sintesi la vita della comunità, Luca fa un accenno a quelle che erano le reazioni da parte degli estranei . “Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli”. Questi perciò avevano nei confronti dei membri della comunità un senso di “timore” determinato dai “prodigi e segni” compiuti dagli apostoli.

Luca ritorna poi al tema della vita interna della comunità: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. Queste due espressioni riflettono, come le altre usate da Luca in questo contesto, il tema greco dell’amicizia, ma usando il termine “credenti” fa rilevare che il vincolo che unisce i discepoli di Gesù non è un’amicizia umana, ma la fede nel comune Maestro. Essa parte dal cuore e si esprime nella messa in comune di affetti, esperienze, aspirazioni, in altre parole, di quello che rappresenta il senso della propria vita, così come ciascuno lo ha scoperto alla luce della fede comune.

L’unità tra i credenti arriva fino al punto che quanti possiedono dei beni li vendono e ne mettono il ricavato a disposizione degli altri, in proporzione del loro bisogno. Questa scelta di vita sarà ulteriormente sottolineata in seguito (4,32.34-35), subito dopo verrà presentato l’esempio positivo di Barnaba, che vende il suo campo e depone il ricavato ai piedi degli apostoli (4,36-37), e quello negativo di Anania e Saffira, i quali sono condannati non perché hanno consegnato solo parte del ricavato dalla vendita di una loro proprietà, ma perché hanno mentito agli apostoli (5,1-11). Proprio questi due esempi, nella loro diversità, mostrano che la scelta di vendere i propri beni e di metterne in comune il ricavato era lasciata alla discrezione di ognuno.
Ritornando al tema della preghiera, Luca sottolinea che “Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”.

Nell’ambiente giudaico questa espressione indica il gesto rituale con cui si apriva il pasto in comune: il padre di famiglia o il capogruppo prendeva tra le mani la focaccia, rendeva grazie a Dio e la spezzava distribuendola poi ai commensali. Qui l’espressione indica il pasto fraterno con cui i cristiani ricordavano l’ultima cena di Gesù in cui Egli aveva interpretato profeticamente la Sua morte e aveva annunciato la speranza della piena comunione con loro nel regno di Dio . Il pasto comune dei cristiani dunque avveniva in un clima di letizia e di semplicità di cuore.
Il termine “letizia” è caro a Luca e indica la gioia festosa che accompagna l’esperienza o la speranza della salvezza messianica (Lc 1,14.44). Anche la “semplicità di cuore” è anch’essa un’espressione religiosa per definire la dedizione sincera e integra a Dio senza secondi fini.

Il comportamento dei primi discepoli era caratterizzato da una intensa lode a Dio e dal favore di tutto il popolo. Certamente una comunità unita, solidale, pronta a condividere anche i beni materiali, non può non suscitare attenzione e simpatia da parte di coloro che vengono a contatto con essa.
Luca conclude questo primo sommario con una espressione che userà più volte “il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati”.
Da questo versetto risulta che di per sé Luca non concepisce la comunità come uno strumento di salvezza, ma come la raccolta di coloro che sono salvati mediante un intervento diretto del Signore: ciò implica che la salvezza è opera esclusiva del Signore e ha un raggio d’azione che va ben oltre la comunità dei presenti.

Salmo 117- Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Rendete grazie al Signore
perché è buono:il suo amore è per sempre.
Dica Israele: «Il suo amore è per sempre».

Dica la casa di Aronne:
«Il suo amore è per sempre».
Dicano quelli che temono il Signore:
«Il suo amore è per sempre».

La pietra scartata dai costruttori
è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore:una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno che ha fatto il Signore:
rallegriamoci in esso ed esultiamo!

L'origine storica di questo salmo è legata ad una imponente liturgia di ringraziamento, in occasione di uno straordinario evento nazionale, generalmente identificato con la grandiosa celebrazione della festa delle Capanne indetta da Neemia nel settimo mese dell'anno 444. Fin dalla strofa introduttiva d'invito alla lode, la voce del solista e dei cori si alternano con le acclamazioni dell'assemblea. L'invito viene rivolto, separatamente, a Israele, "alla casa di Aronne", a "chi teme Dio", e tutti rispondono acclamando: "il suo amore è per sempre".

Sapendo che il salmo era stato prescelto per chiudere la serie dell'Hallel, non è difficile ritrovarvi le analogie con la vicenda pasquale d'Israele che determinarono tale scelta. Ma se riflettiamo che senza ombra di dubbio, questo fu l'"inno" di cui parlano i vangeli, con il quale Gesù, chiuse la celebrazione della cena eucaristica, allora il senso pasquale del salmo si anima in un realismo unico ed insuperabile. …
…Se la Pasqua d'Israele è figura della Pasqua del Cristo, questo salmo è pienamente reale solo sulle labbra di lui, la sua verità profetica diviene verità storica solo a partire dalla sera di quel 14 di Nisan, questo è il salmo di "Cristo nostra Pasqua", il salmo messianico per eccellenza..
Commento tratto da “I Salmi” di Gianfranco Ravasi.

Dalla prima lettera di S.Pietro apostolo
Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell’ultimo tempo.
Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, molto più preziosa dell’oro – destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco –, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime.
1Pt 1,3-9

La Prima lettera di Pietro è uno scritto cristiano della fine del I secolo che si presenta come opera del grande apostolo di cui porta il nome, ma che secondo gli esperti è una raccolta di tradizioni che al massimo potrebbero risalire a Pietro o al suo ambiente. Non è una lettera vera e propria, ma un’omelia a sfondo battesimale, che si apre con l’indirizzo e una benedizione iniziale (1,1-5) a cui fa seguito il corpo della lettera che si divide in tre parti: 1) Identità e responsabilità dei rigenerati (1,6 - 2,10); 2) I cristiani nella società civile (2,11 - 4,11); 3) Presente e futuro della Chiesa (4,12 - 5,11).
Il brano inizia con una benedizione: “Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce”.

La benedizione è una preghiera diretta a Dio per lodarlo e ringraziarlo di tutti i benefici che ha elargito a Israele, ma viene anche designato come “Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. È infatti nel suo rapporto con Gesù che Dio ha manifestato la Sua volontà salvifica in favore dell’umanità, rigenerandola. È la fedeltà di Dio verso il Suo popolo che sta all’origine della Sua decisione di dare ai credenti in Cristo una vita nuova e questa si attua come effetto della resurrezione di Cristo. La sicurezza di ottenere l’eredità oggetto della speranza, si basa sul fatto che essa è conservata nei cieli, cioè è affidata a Dio stesso, e quindi non può essere rubata da nessuno. Non solo, ma i cristiani stessi sono preservati nella loro condizione di eredi dalla potenza di Dio che li assiste sempre, richiedendo come unica condizione la fede in Lui.
Anche la situazione presente dei cristiani è dunque, non meno dell’eredità futura, un dono di Dio, per cui l’apostolo esorta ad essere: “ricolmi di gioia, anche se …, per un po’ di tempo, si può essere afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, messa alla prova, …, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà. Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui.”

La fede autentica si rivelerà dalle difficoltà che si superano, che derivano dal confronto che i cristiani devono sostenere continuamente con le persone e l’ambiente che li circondano. Queste prove, (che sono particolarmente pesanti anche per i cristiani d’oggi) hanno lo scopo non solo di aumentare la fede, ma anche di metterla in luce. A questo punto, c’è l’esortazione:”esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime”.
La gioia che i cristiani devono avere a motivo del loro rapporto con Dio e con Cristo, non si può esprimere umanamente, perché è una gioia già pervasa di gloria, cioè manifesta la realtà divina che è già presente in loro. Anche se umanamente inesprimibile, questa gioia ha la sua ragione di essere e che consiste nel fatto che essi stanno per giungere al traguardo della loro fede, cioè la salvezza delle loro anime.

Dal vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Gv 20, 19-31

L’Evangelista Giovanni in questo brano ci racconta che i discepoli dopo la morte di Gesù, vivono nella paura e si sono chiusi nel cenacolo, ma Gesù entra nella casa a porte chiuse, perché il corpo del Risorto non ha più nessuno ostacolo, e rivolge loro il saluto messianico: "Pace a voi!“ Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco per far vedere le ferite dei chiodi e del colpo di lancia. (Giovanni è l'unico evangelista che riporta questo episodio e parla anche del colpo di lancia che ha trafitto il fianco di Cristo sulla croce).
Dopo aver dato loro per la seconda volta il saluto della pace, il Risorto affida ai discepoli la missione di essere suoi messaggeri, e con il dono dello Spirito, che li consacra alla missione, i discepoli ricevono anche il potere di rimettere i peccati.

Giovanni, dopo aver descritto il primo incontro di Gesù con i suoi la sera di Pasqua, precisa che Tommaso, quando venne Gesù, era assente e, da uomo molto pratico e razionale, non crede a quanto i compagni gli riferiscono, anzi dice che vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le sue mani; non solo ma precisa che vuole persino mettere il dito al posto dei chiodi e la mano nella ferita del costato. Queste condizioni che Tommaso pone nel credere denotano una forte sofferenza interiore, una sofferenza di non poter ancora credere, che è comunque una forma di fede incompleta, ma sincera!
Nella seconda apparizione ai discepoli nel cenacolo, otto giorni dopo, Gesù, dopo aver salutato gli amici col dono della pace, si rivolge all'apostolo incredulo esortandolo a toccare le sue ferite per credere, e in questo invito il Signore prende quasi alla lettera le parole di Tommaso.

A questo invito Tommaso come folgorato esclama : «Mio Signore e mio Dio!» Nessun altro apostolo si era ancora spinto a dirgli: “Mio Dio”, non solo, ma l’aggettivo "mio" davanti a Signore e Dio denota anche un accento d'amore e di appartenenza. Gesù allora conclude: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Tommaso è dunque entrato nel gruppo di coloro che, avendo visto, hanno creduto. Le parole di Gesù non rappresentano certo una critica nei confronti di coloro che appartengono a questa categoria, ma piuttosto esprimono un grande apprezzamento per tutti quelli che, pur non avendo avuto un’esperienza diretta di Gesù, hanno creduto sulla parola dei testimoni oculari.
Noi non possiamo fare a meno di riconoscere che con la sua incredulità Tommaso ci è stato più utile di tutti gli altri apostoli che hanno creduto subito. Così facendo, egli ha in un certo senso costretto Gesù a darci una prova tangibile sulla veridicità della sua resurrezione.

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Don Fabio Rosini ci dà qualche notizia in più su San Tommaso
Lo incontriamo tra gli Apostoli, senza nulla sapere della sua storia precedente. Il suo nome, in aramaico, significa “gemello”. Ci sono ignoti luogo di nascita e mestiere. Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 11, ci fa sentire subito la sua voce, non proprio entusiasta. Gesù ha lasciato la Giudea, diventata pericolosa: ma all’improvviso decide di ritornarci, andando a Betania, dove è morto il suo amico Lazzaro. I discepoli trovano che è rischioso, ma Gesù ha deciso: si va. E qui si fa sentire la voce di Tommaso, obbediente e pessimistica: "Andiamo anche noi a morire con lui". E’ sicuro che la cosa finirà male; tuttavia non abbandona Gesù: preferisce condividere la sua disgrazia, anche brontolando.

Facciamo torto a Tommaso ricordando solo il suo momento famoso di incredulità dopo la risurrezione. Lui è ben altro che un seguace tiepido. Ma credere non gli è facile, e non vuol fingere che lo sia. Dice le sue difficoltà, si mostra com’è, ci somiglia, ci aiuta. Eccolo all’ultima Cena (Giovanni 14), stavolta come interrogante un po’ disorientato. Gesù sta per andare al Getsemani e dice che va a preparare per tutti un posto nella casa del Padre, soggiungendo: "E del luogo dove io vado voi conoscete la via". Obietta subito Tommaso, candido e confuso: "Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?". Scolaro un po’ duro di testa, ma sempre schietto, quando non capisce una cosa lo dice. E Gesù riassume per lui tutto l’insegnamento: "Io sono la via, la verità e la vita". Ora arriviamo alla sua uscita più clamorosa, che gli resterà appiccicata per sempre, e troppo severamente. Giovanni, capitolo 20: Gesù è risorto; è apparso ai discepoli, tra i quali non c’era Tommaso. E lui, sentendo parlare di risurrezione “solo da loro”, esige di toccare con mano. E’ a loro che parla, non a Gesù. E Gesù viene, otto giorni dopo, lo invita a “controllare”... Ed ecco che Tommaso, il pignolo, vola fulmineo ed entusiasta alla conclusione, chiamando Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”, come nessuno finora aveva mai fatto. E quasi gli suggerisce quella promessa per tutti, in tutti i tempi: "Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno".
Tommaso è ancora citato da Giovanni al capitolo 21 durante l’apparizione di Gesù al lago di Tiberiade. Gli Atti (capitolo 1) lo nominano dopo l’Ascensione. Poi più nulla: ignoriamo quando e dove sia morto. Alcuni testi attribuiti a lui (anche un “Vangelo”) non sono ritenuti attendibili. A metà del VI secolo, il mercante egiziano Cosma Indicopleuste scrive di aver trovato nell’India meridionale gruppi inaspettati di cristiani; e di aver saputo che il Vangelo fu portato ai loro avi da Tommaso apostolo. Sono i “Tommaso-cristiani”, comunità sempre vive nel XX secolo, ma di differenti appartenenze: al cattolicesimo, a Chiese protestanti e a riti cristiano-orientali.

Sabato, 08 Aprile 2017 22:26

Triduo Pasquale

Triduo

 

Le letture liturgiche di questa ultima domenica di quaresima, un tempo conosciuta come domenica di Passione, ci introducono alla Settimana Santa, e ci rendono quanto mai partecipi delle sofferenze di Cristo che affronta la Sua dolorosa passione.

Nella prima lettura, il Profeta Isaia attraverso il canto del Servo sofferente, sembra descrivere in anticipo la vita e la passione di Gesù. Il suo atteggiamento di fiducia in Dio e di amore per i fratelli lo lascia in una suprema libertà di fronte ad ogni prova. Egli ha la certezza che la sua missione non è vana.

Nella seconda lettura S.Paolo, con l’Inno Cristologico, rivela il mistero dell’abbassamento di Cristo e l’intervento di Dio in Suo favore: il Padre lo esalta, ponendolo al di sopra di tutte le cose e di tutti gli esseri viventi.

Il racconto della passione, tratta dal Vangelo di Matteo, va meditata nel silenzio. Si può percepire così il crescendo di solitudine di Gesù a partire dall’ultima cena: solo nell’orto degli ulivi, solo davanti al Sinedrio, solo di fronte a Pilato, solo sul Golgota. E quanto ai suoi discepoli: uno lo tradisce, un altro lo rinnega, i restanti prendono la fuga al momento dell’arresto. Tutto si presenta come una disfatta totale, un assurdo, una follia, ma è la follia di un Dio che per salvarci, ha scelto la morte di croce.

Dal Vangelo secondo Matteo
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
Dite alla figlia di Sion:
Ecco, a te viene il tuo re,
mite, seduto su un’asina
e su un puledro, figlio di una bestia da soma.
discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:
«Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».
Mt 21,1-11

Matteo nel suo vangelo ha sempre messo in evidenza che il centro dell'attività di Gesù è la Galilea e Gerusalemme è la città del rifiuto dove vive il popolo che gli prepara la croce. L'ingresso in Gerusalemme va visto perciò sotto questo aspetto.
Il brano inizia citando il monte degli Ulivi che dista da Gerusalemme il cammino di un sabato (At 1,12), e al tempo di Gesù era considerato il luogo dal quale il Messia, con ogni probabilità, si sarebbe manifestato.

La narrazione è sviluppata in modo da preparare la citazione (9.9) del profeta Zaccaria:
Ecco, a te viene il tuo re,mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma .
Nella citazione viene però tralasciato Egli è giusto e vittorioso, perchè Gesù viene nelle vesti del re mansueto, non come re che punisce e giudica.
I due discepoli che agiscono secondo la direttiva di Gesù non trovano ostacoli nel chiedere gli animali al loro padrone, pongono perciò sulle due bestie dei mantelli come sella o come ornamento e Gesù siede sull'asina e sul suo puledro. (In oriente gli asini si cavalcano in modo tale da tenere entrambe le gambe dalla stessa parte. Gesù, seduto sull'asina, ha usato il puledro, più basso dell'asina, per appoggiarvi i piedi.) L'immagine dell'asina e del suo puledro era il segno (in base alla profezia) dal quale Gerusalemme avrebbe dovuto riconoscere il suo re.

La folla enorme che accompagna Gesù è quella dei pellegrini, che arrivavano a Gerusalemme per la festa di Pasqua, non quella degli abitanti di Gerusalemme. In vista della città questi pellegrini stendono sulla strada i loro mantelli e rami recisi dagli alberi. Il primo gesto fa parte del rituale di intronizzazione; il secondo può essere considerato un atto di omaggio. La folla gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».

L'acclamazione "benedetto colui che viene nel nome del Signore" (Sal 118,26) era in origine un grido di saluto per i pellegrini alla porta del tempio - qui ha anche un significato escatologico: anche il Cristo della parusia sarà salutato così (Mt 23,39) mentre l'osanna conclusivo invita gli angeli del cielo a unirsi all'esultanza.
Soltanto quando Gesù fa il suo ingresso attraverso la porta aurea,* la città si agita. I suoi abitanti non gli sono andati incontro, hanno avuto lo stesso atteggiamento tenuto all'annuncio della sua nascita (Mt 2,3-8). Gesù, che viene da Nazareth, un angolo sconosciuto della Galilea, è uno sconosciuto per gli abitanti di Gerusalemme!
Lo scopo di Matteo è quello di prepararci all’umiliazione del Messia, non nella gloria viene ora il Signore, ma nell’umiltà!

*La porta aurea o Porta Est è stata chiusa da secoli e secondo la tradizione sarebbe in attesa di una miracolosa apertura quando il Messia arriverà ed i morti resusciteranno.

Dal libro del profeta Isaia
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo,
perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
e io non ho opposto resistenza,
non mi sono tirato indietro.
Ho presentato il mio dorso ai flagellatori,
le mie guance a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato,
per questo rendo la mia faccia dura come pietra,
sapendo di non restare confuso.
Is 50,4-7

In questo carme del Servo sofferente, il profeta (Deuteroisaia) descrive la persecuzione di cui il Servo di JHWH è oggetto; poi passa a descrivere la sua reazione personale:
…Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso.
Nella difficile situazione in cui si trova, il Servo non si difende con la forza, e neppure fa ricorso, come aveva fatto Geremia, alla violenza verbale contro i suoi avversari; al contrario, fortificato dalla sua fiducia in Dio, resta fermo come una roccia senza venir meno alla sua missione. La sua forza d’animo gli deriva dalla certezza che Dio porterà a termine il Suo progetto nonostante tutte le contestazioni. Egli dimostra così di non cercare il proprio successo personale, ma la realizzazione di quanto va annunziando, anche se ciò dovesse costargli la vita.
Fa impressione vedere come la profezia del Servo sofferente, sembra descrivere in anticipo di 550 anni, la vita e la passione di Gesù.
Dalla lettera di S Paolo apostolo ai Filippesi
Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò
e gli donò il nome
che è al di sopra di ogni nome,
perché nel nome di Gesù
ogni ginocchio si pieghi
nei cieli, sulla terra e sotto terra,
e ogni lingua proclami:
«Gesù Cristo è Signore!»,
a gloria di Dio Padre.
Fil 2,6-11

Questo brano tratto dalla lettera ai Filippesi è il famoso inno Cristologico. Il testo, preesistente e appartenente ai testi utilizzati dai primi cristiani nella liturgia, è stato inserito dall'apostolo Paolo in un brano esortativo, ma di alto valore teologico.
Dai primi versetti ci presenta Gesù partecipe della natura divina, essendo egli immagine di Dio, che non si è avvalso di questa condizione, ma ha scelto di condividere con la condizione umana l’esistenza di tutti gli uomini. L'abbassamento di Gesù giunge sino alla morte che l'umanità subisce a causa del peccato. E' la sua obbedienza che lo spinge ad assumere la condizione mortale che invece gli altri uomini subiscono per la loro disobbedienza. In questo versetto, gli esperti dicono, che sembra certa l'aggiunta di Paolo: fino alla morte e a una morte di croce, che presenta la sua “theologia crucis “e rafforza l'idea dell'umiliazione di Gesù che giunge sino all'esperienza infamante del condannato alla morte di croce.
Nella seconda parte dell'inno ci viene presentata la conseguenza del gesto di Gesù, e l'azione passa di mano ed è Dio che agisce e innalza Gesù. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!».
L'inno dunque ci presenta Gesù come l'uomo che non ha tradito il progetto originario di Dio e con la sua obbedienza si è fatto solidale con tutta l'umanità. Paolo ricorda così ai cristiani di Filippi che essi sono inseriti vitalmente nella vicenda di Gesù e dunque nella logica del progetto del Padre, che diventa così anche indicazione per il loro agire concreto nella storia.
°°°°°
Passione di nostro Signore Gesù Cristo
(secondo Matteo (27,11-54)
....
I due capitoli del Vangelo di Matteo che riportano la passione del Signore, si articolano su sei scene che si susseguono con immediatezza e drammaticità ma che hanno tutte racchiuso in sé un messaggio e un seme di salvezza.
La cena pasquale celebra il mistero della continua presenza di Gesù in mezzo al suo popolo.
Nel Getsemani Gesù è il modello del perfetto orante che sperimenta l’”agonia” del silenzio dell’amicizia umana e della stessa vita.
Nell’arresto Gesù ribadisce il suo appassionato amore per il perdono e per la non-violenza.
Il processo giudaico è dominato dall’ultima rivelazione messianica e divina di Gesù davanti al suo popolo: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».
Il processo romano sancisce la scelta della folla di Gerusalemme e svela l’indifferenza ed anche la viltà di Pilato, ma anche la simpatia dei pagani (rappresentati dalla moglie di Pilato).
Per la crocifissione è presente tutto il cosmo con le sue forze (tenebre e terremoto), l’umanità che bestemmia, ma è presente anche la Chiesa dei nuovi credenti (il centurione che esclama: «Davvero costui era Figlio di Dio!».).
Infine i morti che sorgono dai sepolcri rappresentano la nuova umanità liberata da Cristo.

****

Le parole di Papa Francesco

“Chi sono io davanti a Gesù?
Sono capace di esprimere la mia gioia e di lodarlo o prendo distanza? Chi sono io davanti a Gesù che soffre?
Abbiamo sentito tanti nomi, sacerdoti farisei, maestri della legge che avevano deciso di ucciderlo, aspettavano l’opportunità di prenderlo… Sono io uno di loro?
Abbiamo sentito un altro nome: Giuda, 30monete… Sono io Giuda?
I discepoli che non capivano niente, che si addormentavano mentre il Signore soffriva… La mia vita è addormentata? O sono come i discepoli che non capivano cosa fosse tradire Gesù? O quell’altro discepolo che voleva risolvere tutto con la spada, sono io come loro?
Sono io come Giuda, che fa finta di amare e bacia il maestro per consegnarlo, per tradirlo, sono io traditore?
Sono io come quei dirigenti che fanno di fretta il tribunale e cercano falsi testimoni? Quando faccio queste cose credo che con questo salvo il popolo?
Sono io come Pilato quando vedo che la situazione è difficile e mi lavo le mani e non so assumere la responsabilità, lascio la nave o condanno io le persone?
Sono io quella folla che non sapeva bene se era in una riunione radiosa, in un giudizio, in un circo? Sceglie Barabba, che era più divertente per umiliare Gesù.
Sono io come i soldati che colpiscono il Signore, sputano addosso, insultano, si divertono con l’umiliazione del Signore?
Sono io il Cireneo che tornava da lavoro ma ha avuto la buona volontà di aiutare il Signore a portare la croce?
Sono io come quelli che passavano davanti alla Croce e facevano di Gesù motivo di beffa? Sono io come quelle donne coraggiose e come la mamma di Gesù che erano lì, soffrivano, in silenzio?
Sono io come Giuseppe, il discepolo che porta il corpo di Gesù per dargli sepoltura?
Sono io come le Marie che rimangono alla porta del sepolcro? Sono io come i dirigenti che vanno da Pilato il giorno seguente e bloccano il sepolcro per difendere la dottrina?
Dove è il mio cuore?
A quale di queste persone io assomiglio?
Che questa domanda ci accompagni durante tutta la settimana”.

Dall’omelia di Papa Francesco Domenica delle Palme 2014

Lunedì, 03 Aprile 2017 17:13

LE OPERE DI MISERICORDIA

Papa Francesco, nel chiudere l’Anno della Misericordia, ha precisato che, anche se l’anno è concluso, non è certo cessato il dovere di meditare e di riflettere sulle Opere di Misericordia e di praticarle nei loro molteplici aspetti. I Laici Salettini, seguendo questo consiglio, ripropongono le loro semplici “riflessioni” che sono state pubblicate sulla rivista La Salette a partire dal primo numero dell’anno 2016.

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Pro Memoria

L'umanità è una grande e  immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)

Parrocchia Nostra Signora de La Salette
Piazza Madonna de La Salette 1 - 00152 ROMA
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Titolo presbiterale: Card. Polycarp PENGO
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