La IV opera di Misericordia ci invita ad alloggiare i pellegrini. Questa consuetudine ha origini antichissime. Nella Bibbia, infatti, l’ospite assume una certa sacralità ricordando l’episodio di Abramo quando, nella terra di Mamre, accoglie, nel migliore dei modi il Signore che, nelle sembianze di tre uomini misteriosi, gli profetizza la nascita di un figlio. Riferendosi a questo avvenimento Paolo dice “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli” (Eb 3,2).
Il Levitico insiste dicendo “Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Lv 19,34). Significativa è l’attenzione con la quale la donna Sunammita, non solo ospita il profeta Eliseo, ma addirittura gli allestisce “una piccola stanza in muratura” (2 Re 4,10).
Il Nuovo Testamento è costellato di episodi che sottolineano il valore dell’ospitalità: pensiamo alle nozze di Canaa. Gesù, lasciata Nazaret, va ad abitare a Cafarnao ed è accolto nella casa di Pietro; accetta il “grande banchetto” nella casa di Levi; è ospite di Marta e Maria presso Lazzaro…
Nell’Apocalisse, parlando alla Chiesa di Laodicea, Gesù dice “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me” (Ap 3,20). Sintetizza questa carità la regola che San Benedetto scrive nel V secolo “Tutti gli ospiti che si presentano al monastero devono essere accettati come Cristo perché Egli stesso dirà un giorno “Ero pellegrino e mi avete ospitato” (n 53,1).
Anche in questa calda estate 2017 la nostra parrocchia apre le sue porte per accogliere i bambini delle elementari e delle medie, per l’oratorio estivo che quest’anno ci racconta la storia di un antico romano... Fra altari misteriosi dedicati ad un dio ignoto, combattimenti di gladiatori nel Colosseo, e riti cristiani sconosciuti ed affascinanti, raccontiamo la storia di Prisco, ragazzo romano che scoprirà un Dio misericordioso che non conosceva ed assisterà al rito del battesimo di una sua amica, e capirà l’importanza di appartenere alla grande famiglia dei figli di Dio.
“Vestire gli ignudi” possiamo dire che ad adempiere a questa opera di misericordia corporale è stato Dio stesso che, nel Paradiso Terrestre, “fece all’uomo ed a sua moglie tuniche di pelle e li vestì” (Gen. 3,21). I nostri progenitori, infatti, solo dopo aver commesso la disobbedienza ed aver perso la loro innocenza, si sono accorti di essere nudi e “ne provarono vergogna” (Gen. 2,25).
L’essere nudo, nella Bibbia, è considerato una negatività, è segno di disprezzo e di umiliazione. Il vestito, oltre ad essere una necessità per proteggersi dal freddo, assume sempre di più un carattere distintivo: la veste diventa così un paramento, un simbolo che denota una carica, una funzione, una dignità. L’investitura è, infatti, la cerimonia in cui si affida ad una persona un determinato compito, gli si dà una veste: il Padre Misericordioso, appena vede il figlio ritornare, ordina ai servi di “portare il vestito più bello e farglielo indossare, mettergli l’anello al dito ed i sandali ai piedi” (Lc. 15,22); le vesti di Gesù durante la Trasfigurazione “diventano candide come la luce” (Mt. 17,2); significativa è la differenza tra il giovane che ha addosso soltanto un lenzuolo e, durante la cattura di Gesù, lo lascia cadere fuggendo nudo ed “il giovane vestito di bianca veste” che “seduto sulla destra” del Sepolcro annuncia alle Donne la Resurrezione del Nazzareno (Mc. 16,5): il primo è la morte l’altro è la vita. Paolo ci ricorda che “siamo figli di Dio mediante la fede in Cristo e, in quanto battezzati in Cristo, siamo rivestiti di Cristo” (Gal. 3,27). Cristo è diventato il nostro vestito.
Continuiamo la riflessione sulle opere di misericordia come ha chiesto Papa Francesco. E’ da sottolineare la delicatezza della richiesta: il Santo Padre ci invita a riflettere, non ci chiede delle proposte di risoluzione o dei piani operativi ma solo di considerarle, di pensarci e pone ognuno davanti alla propria coscienza ed alle proprie responsabilità.
Rispettare la seconda opera corporale, dar da bere agli assetati, ha come conseguenza l’ereditare il Regno perché il Padre dirà “Avevo sete e mi avete dato da bere”. Questa pratica caritativa spesso, nella tradizione della Chiesa, è unita al “dar da mangiare agli affamati”, quasi a considerarla di minore importanza. E’ noto che il nutrirsi è un bisogno primario ma il bere è ancora più importante: l’uomo può resistere più di quaranta giorni senza mangiare ma non più di sette senza bere. I medici dicono, inoltre, che la morte per disidratazione è preceduta da una lunga e dolorosissima agonia. Agar, nel deserto, nasconde Ismaele sotto un cespuglio perché non ha il coraggio di vedere il proprio figlio morire di sete (Gen. 21, 15-16)... Ma Dio lo salva.
ESSERE CHIESA
NUOVO INCONTRO
Cari lettori, nella continuità di questi dialoghi sulle ragioni della fede, incontriamo uno dei temi più importanti e anche uno dei più emblematici. Rispetto alle motivazioni per credere trattate nei precedenti articoli, Incontro fondamentale con Cristo (edizione gennaio-febbraio) e La Parola di Dio (marzo-aprile), il tema di oggi appare più complesso.
Padre Adilson Schio ed Elena Tasso, in quest'altra conversazione sulla fede, argomentano sulle ragioni per credere che nascono dall'esperienza di essere Chiesa. Ma sarà vero che la fede presuppone un'esperienza ecclesiale? Ma di quale chiesa si parla? Allora, perché sono sempre più numerose le persone che dicono di credere, ma di non avere bisogno della chiesa?
Queste domande già rivelano l'orizzonte di questa conversazione.
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)