“Visitare i carcerati” è, forse l’Opera di Misericordia corporale più complicata e difficile.
Per aiutarmi a trattare quest’argomento sono stata cortesemente ricevuta da Padre Vittorio Trani, provinciale dei Frati Minori Conventuali della provincia di Roma, da 35 anni cappellano del carcere di Regina Coeli, casa circondariale di Roma, nonché padre spirituale della Società Sportiva Lazio, che con disponibilità e pazienza ha risposto alle mie domande e che ringrazio vivamente.
E’ luogo comune catalogare in quattro rapporti fondamentali le difficoltà che condizionano la vita dell’uomo:
- rapporto con se stessi, con il proprio corpo che, quando si “complica” diventa, per motivi fisici o psichici, in senso lato, malattia;
- rapporto con le cose, con la società e con i beni materiali che, anche se per cause accidentali, può “peggiorare” e diventare povertà;
- rapporto con Dio e con il prossimo che, se si” interrompe” diventa peccato;
- rapporto con la natura che quando “degenera” diventa causa di catastrofi, carestie, desertificazioni, inquinamenti… che hanno come conseguenze malattie, povertà e ribellioni.
Malati, poveri e peccatori sono le tre categorie di persone predilette da Gesù. Lo dice espressamente rispondendo ai discepoli del Battista: «Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano e ai poveri è annunciato il Vangelo.» (Mt 11,4-5)
Dio non ha creato la malattia ma essa è entrata nel mondo in conseguenza del peccato originale e, prima o poi, tocca tutti. La scienza ha tentato e tenta di curarla e, per alcune patologie, vi è anche riuscita ma non è mai riuscita a dare una spiegazione ed un senso al dolore ed alla sofferenza. Nemmeno Gesù, Dio diventato uomo, ha spiegato il dolore, anzi, lo ha vissuto fino alla drammaticità della morte.
Gesù però si prodiga in tutti i modi per alleviare la sofferenza e lo dimostrano i numerosi miracoli di guarigione narrati dai Vangeli. Gesù si avvicina ai malati, parla con loro, li tocca, non teme né il contagio né l’impurità e soprattutto non li esorta alla pazienza e alla rassegnazione ma “agisce” subito, come con il Centurione al quale dice: «Verrò e lo guarirò.» (Mt 8,7)
Gesù poi considera il malato una persona nella sua totalità infatti non solo lo risana ma gli perdona i peccati: è medico del corpo e dello spirito.
La IV opera di Misericordia ci invita ad alloggiare i pellegrini. Questa consuetudine ha origini antichissime. Nella Bibbia, infatti, l’ospite assume una certa sacralità ricordando l’episodio di Abramo quando, nella terra di Mamre, accoglie, nel migliore dei modi il Signore che, nelle sembianze di tre uomini misteriosi, gli profetizza la nascita di un figlio. Riferendosi a questo avvenimento Paolo dice “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli” (Eb 3,2).
Il Levitico insiste dicendo “Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra di voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Lv 19,34). Significativa è l’attenzione con la quale la donna Sunammita, non solo ospita il profeta Eliseo, ma addirittura gli allestisce “una piccola stanza in muratura” (2 Re 4,10).
Il Nuovo Testamento è costellato di episodi che sottolineano il valore dell’ospitalità: pensiamo alle nozze di Canaa. Gesù, lasciata Nazaret, va ad abitare a Cafarnao ed è accolto nella casa di Pietro; accetta il “grande banchetto” nella casa di Levi; è ospite di Marta e Maria presso Lazzaro…
Nell’Apocalisse, parlando alla Chiesa di Laodicea, Gesù dice “Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me” (Ap 3,20). Sintetizza questa carità la regola che San Benedetto scrive nel V secolo “Tutti gli ospiti che si presentano al monastero devono essere accettati come Cristo perché Egli stesso dirà un giorno “Ero pellegrino e mi avete ospitato” (n 53,1).
Anche in questa calda estate 2017 la nostra parrocchia apre le sue porte per accogliere i bambini delle elementari e delle medie, per l’oratorio estivo che quest’anno ci racconta la storia di un antico romano... Fra altari misteriosi dedicati ad un dio ignoto, combattimenti di gladiatori nel Colosseo, e riti cristiani sconosciuti ed affascinanti, raccontiamo la storia di Prisco, ragazzo romano che scoprirà un Dio misericordioso che non conosceva ed assisterà al rito del battesimo di una sua amica, e capirà l’importanza di appartenere alla grande famiglia dei figli di Dio.
“Vestire gli ignudi” possiamo dire che ad adempiere a questa opera di misericordia corporale è stato Dio stesso che, nel Paradiso Terrestre, “fece all’uomo ed a sua moglie tuniche di pelle e li vestì” (Gen. 3,21). I nostri progenitori, infatti, solo dopo aver commesso la disobbedienza ed aver perso la loro innocenza, si sono accorti di essere nudi e “ne provarono vergogna” (Gen. 2,25).
L’essere nudo, nella Bibbia, è considerato una negatività, è segno di disprezzo e di umiliazione. Il vestito, oltre ad essere una necessità per proteggersi dal freddo, assume sempre di più un carattere distintivo: la veste diventa così un paramento, un simbolo che denota una carica, una funzione, una dignità. L’investitura è, infatti, la cerimonia in cui si affida ad una persona un determinato compito, gli si dà una veste: il Padre Misericordioso, appena vede il figlio ritornare, ordina ai servi di “portare il vestito più bello e farglielo indossare, mettergli l’anello al dito ed i sandali ai piedi” (Lc. 15,22); le vesti di Gesù durante la Trasfigurazione “diventano candide come la luce” (Mt. 17,2); significativa è la differenza tra il giovane che ha addosso soltanto un lenzuolo e, durante la cattura di Gesù, lo lascia cadere fuggendo nudo ed “il giovane vestito di bianca veste” che “seduto sulla destra” del Sepolcro annuncia alle Donne la Resurrezione del Nazzareno (Mc. 16,5): il primo è la morte l’altro è la vita. Paolo ci ricorda che “siamo figli di Dio mediante la fede in Cristo e, in quanto battezzati in Cristo, siamo rivestiti di Cristo” (Gal. 3,27). Cristo è diventato il nostro vestito.
Continuiamo la riflessione sulle opere di misericordia come ha chiesto Papa Francesco. E’ da sottolineare la delicatezza della richiesta: il Santo Padre ci invita a riflettere, non ci chiede delle proposte di risoluzione o dei piani operativi ma solo di considerarle, di pensarci e pone ognuno davanti alla propria coscienza ed alle proprie responsabilità.
Rispettare la seconda opera corporale, dar da bere agli assetati, ha come conseguenza l’ereditare il Regno perché il Padre dirà “Avevo sete e mi avete dato da bere”. Questa pratica caritativa spesso, nella tradizione della Chiesa, è unita al “dar da mangiare agli affamati”, quasi a considerarla di minore importanza. E’ noto che il nutrirsi è un bisogno primario ma il bere è ancora più importante: l’uomo può resistere più di quaranta giorni senza mangiare ma non più di sette senza bere. I medici dicono, inoltre, che la morte per disidratazione è preceduta da una lunga e dolorosissima agonia. Agar, nel deserto, nasconde Ismaele sotto un cespuglio perché non ha il coraggio di vedere il proprio figlio morire di sete (Gen. 21, 15-16)... Ma Dio lo salva.
Un momento molto forte e pieno di grazia è stato vissuto in Villa Doria Pamphili e nelle vie di Monteverde, in una zona quasi centrale di Roma, con la processione e con la S. Messa del Corpus Domini. In questo periodo così caotico, due parrocchie insieme, Santa Maria Madre della Provvidenza e Nostra Signora de La Salette, hanno portato Gesù Eucarestia alle tante persone immerse nella routine quotidiana.
Hanno doto testimonianza della Sua viva presenza in mezzo a loro come segno tangibile della Sua vicinanza e della Sua benedizione.
ESSERE CHIESA
NUOVO INCONTRO
Cari lettori, nella continuità di questi dialoghi sulle ragioni della fede, incontriamo uno dei temi più importanti e anche uno dei più emblematici. Rispetto alle motivazioni per credere trattate nei precedenti articoli, Incontro fondamentale con Cristo (edizione gennaio-febbraio) e La Parola di Dio (marzo-aprile), il tema di oggi appare più complesso.
Padre Adilson Schio ed Elena Tasso, in quest'altra conversazione sulla fede, argomentano sulle ragioni per credere che nascono dall'esperienza di essere Chiesa. Ma sarà vero che la fede presuppone un'esperienza ecclesiale? Ma di quale chiesa si parla? Allora, perché sono sempre più numerose le persone che dicono di credere, ma di non avere bisogno della chiesa?
Queste domande già rivelano l'orizzonte di questa conversazione.
" NON LASCIAMOLI SOLI ! " Accompagnare i genitori nell'educazione dei figli adolescenti. Il Convegno diocesano inizierà con l’intervento di Papa Francesco il 19 Giugno, seguendo il successivo giorno con i vari laboratori nelle varie prefetture, nella nostra XXX alla Parrocchia Santa Maria Regina Pacis in Monteverde Vecchio. La conclusione il 18 Settembre con i risultati dei Laboratori svolti nelle Prefetture di competenza e il nuovo Vicario, l’arcivescovo Angelo De Donatis, esporrà i suoi orientamenti pastorali.
Da domani e nelle prossime settimane a scadenza verranno pubblicati dei articoli sulle opere di misericordia, come obbiettivo per rinsaldare la nostra fede e la nostra pratica quotidiana per essere misericordiosi come il Padre. Il Giubileo della Misericordia non è finito, si prolunga nel nostro quotidiano.
“Tanti pellegrini hanno varcato le Porte sante e fuori del fragore delle cronache hanno gustato la grande bontà del Signore. Ringraziamo per questo e ricordiamoci che siamo stati investiti di misericordia per rivestirci di sentimenti di misericordia, per diventare noi pure strumenti di misericordia. Proseguiamo questo nostro cammino, insieme.”
(Papa Francesco dall’omelia della Chiusura del Giubileo della Misericordia)
Papa Francesco ci esorta con il dono della Lettera Apostolica Misericordia et misera misera
“Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa.
Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone...
Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.”
Viviamo la misericordia un passo dopo l’altro verso gli altri.
Attiviamoci!
Premessa
Papa Francesco, nella Bolla “Misericordia vultus” che indice il Giubileo della Misericordia, così scrive: “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli... Non dimentichiamo le parole di San Giovanni della Croce: “Alla fi ne della vita, saremo giudicati sull’amore” (Mv 15)”.
Con i nostri limiti ed in spirito di obbedienza iniziamo a riflettere sulle opere di misericordia. Esse sono comportamenti pratici che concretizzano l’amore a Dio attuandolo nell’amore al prossimo. Si possono definire i comandamenti della carità, dell’agire, dell’operare secondo la Misericordia di Dio: “Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).
È stato San Tommaso d’Aquino a codificare le opere in 7 corporali, che riguardano le necessità materiali e 7 spirituali che si basano sul rapporto e sulla disponibilità che si deve instaurare con il prossimo.
DAR DA MANGIARE AGLI AFFAMATI
Gli ultimi rilevamenti della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) dicono che circa 20.000 persone ogni giorno muoiono di fame, che ogni anno 3,1 milioni di bambini muoiono entro i primi 5 anni di vita per denutrizione e che 795 milioni di persone non hanno abbastanza cibo. Sono cifre spaventose che ci fanno rabbrividire ma lo diventano maggiormente quando al posto dell’arido numero mettiamo il nome ed il volto di un essere umano creato ed amato da Dio. Ognuna di queste persone ci grida all’unisono con Cristo: “ho fame... aiutami!”.
Essere senza cibo vuol dire avere raggiunto il massimo della povertà ed avvicinarsi alla morte. Cristo non la vuole ed infatti ci ha insegnato a chiedere al Padre “il pane quotidiano” (Mt 6, 11) e, com’è successo per la manna nel deserto, non una provvista ma solo il necessario giornaliero in modo che ce ne sia per tutti. Diciamo infatti il “nostro pane” e non il “mio pane”. Chi non mangia muore e chi nega il cibo diventa corresponsabile di quella morte, complice di quell’omicidio. Chi sfama aiuta la vita. Dio nell’ultimo giorno farà giustizia ed ai “duri di cuore” dirà “lontano da me perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare” (Mt 25,42), mentre ai poveri dirà “Beati voi, che avete fame perché sarete saziati” (Lc 6,21).
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Sono noti a tutti i motivi per cui nel mondo si muore di fame. Dio vuole che tutte le creature vivano in abbondanza e per questo ha dato loro la terra che è per tutti ed i cui beni sono di tutti. Purtroppo, da sempre, gli uomini non hanno rispettato queste regole ed il loro egoismo e la loro avidità li hanno portati ad odiare, combattere ed uccidere.
Viviamo oggi in una scandalosa e disumana obbedienza alle leggi del mercato che condiziona l’economia mondiale fino a ridurre intere popolazioni alla miseria. Basti pensare che il 20% delle persone vive consumando l’80% delle risorse di tutto il mondo.
Gesù ha compassione di chi ha fame e compie un miracolo (Mc 6,37-44). Se quel ragazzo non avesse condiviso i suoi “cinque pani d’orzo e due pesci” (Gv 5,9) Gesù non avrebbe potuto sfamare “circa cinquemila uomini”. Dio vuole che noi prima condividiamo per poi Lui moltiplicare.
Gesù stesso diventa condivisione perché si fa pane per noi “io sono il pane di vita, chi viene a me non avrà più fame” (Gv 6,35). Nell’ultima cena Gesù prende il pane divenuto il suo corpo, lo spezza e lo distribuisce. Dà se stesso come cibo di vita eterna: la massima condivisione pensabile (Lc 22,19). La celebrazione Eucaristica che, per definizione, è la frazione del pane deve, di conseguenza, essere anche la condivisione dei beni. Chi durante la Messa si nutre del Corpo di Cristo non può lasciare morire di fame il povero che mendica fuori dalla porta.
L’apostolo Giacomo ricorda “Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede e poi non ha le opere?” (Gc 2,14) e Papa Francesco aggiunge “Nessuno è così povero da non poter donare qualche cosa ad un altro”.
È sorprendente trovare, per ogni problema che affligge l’umanità, riscontro nel Messaggio della Vergine de La Salette. A proposito della fame Maria dice espressamente “se (gli uomini) si convertono le pietre si trasformeranno in pane e le patate nasceranno da sole nei campi”. Nessun consiglio è più valido di questo: la conversione può operare miracoli!
Purtroppo il problema della fame nel mondo, nonostante tanti sforzi per debellarlo, soprattutto da parte della Chiesa, rimane e rimarrà finché l’umanità non uscirà dal suo egoismo. Usciamo per primi noi dal nostro egoismo trovando ciascuno il proprio modo per aiutare gli altri. Non tutti possiamo andare a servire alla mensa della Caritas ma tutti possiamo donare un chilo di pasta, un litro d’olio, un pacco di biscotti... Evitiamo di sprecare il cibo, usiamolo con parsimonia e rispetto. Dimostriamo pubblicamente, con un segno di Croce, la nostra riconoscenza a Dio tutte le volte che ci sediamo a tavola ed in ogni ambiente. Forse saremo osservati... ma forse qualcuno ci imiterà.
Laici Salettini
Domenica 14 maggio, nella nostra parrocchia, 40 bambini hanno ricevuto per la prima volta il Corpo del Signore.
Dopo un percorso durato due anni, finalmente hanno potuto incontrare "fisicamente" Colui che da sempre li ama e che li stava aspettando.
Domenica, 8:30; 10:00; 11:30; 18:30
Lun-Sab, 9:00; 18:30
L'umanità è una grande e immensa famiglia ... Troviamo la dimostrazione di ciò da quello che ci sentiamo nei nostri cuori a Natale.
(Papa Giovanni XXIII)